L’ABC della Teoria dell’Attaccamento

La teoria dell’attaccamento rappresenta ormai uno dei modelli più conosciuti e validati empiricamente a livello scientifico attraverso cui leggere sia lo sviluppo dell’individuo dalla “culla alla tomba” sia le dinamiche relazionali familiari. Ha assunto un ruolo rilevante nella letteratura clinica, ormai sempre più ampia, relativa agli effetti dei rapporti precoci genitore-figlio concernenti maltrattamento e relazioni disturbate.

Essa prende origine dai classici studi etologici di J. Bowlby che mettevano in luce lo scopo protettivo per i piccoli di sistemi innati volti alla ricerca di relazioni attaccamento-accudimento tra cuccioli e caregiver con la conseguente protezione del piccolo dai pericoli esterni individuati dai genitori. Maturata inizialmente intorno agli anni settanta, ha costituito un modello di rottura rispetto alle teorie psicodinamiche classiche sullo sviluppo della relazione madre-bambino che prevedeva il concetto di “fasi”.

Successivamente alle osservazioni di Bowlby nonché successivamente ai risultati ottenuti dagli studi di Mahler sulla madre fredda e la madre calda nei cuccioli di scimpanzé e a quelli relativi alle osservazioni sui comportamenti di grave deprivazione cognitiva ed emotiva propria di bambini ospedalizzati o in orfanotrofi fatte da Spitz, gli studi di Mary Ainsworth hanno permesso di classificare pattern ricorrenti di relazione tra il piccolo ed il caregiver. Il metodo usato dalla Ainsworth e collaboratori per studiare lo stile di attaccamento adulto-bambino è divenuto famoso con il nome di Strange Situation. Gli Autori hanno preso un campione di bimbi tra gli undici-diciotto mesi e li hanno messi insieme al caregiver di riferimento (la mamma prevalentemente) in una stanza piena di giocattoli dove il bambino poteva esplorare eventualmente l’ambiente. Dopo pochi minuti veniva fatta entrare una donna nella stanza che iniziava, dopo una breve fase iniziale di silenzio, a relazionarsi con il piccolo e la mamma. A distanza nuovamente di pochi minuti la mamma usciva ed il piccolo rimaneva nella stanza con la donna ed i giocattoli; infine, la mamma veniva fatta rientrare nella stanza mentre la donna veniva fatta uscire. Successivamente il bimbo veniva fatto rimanere solo nella stanza e solo dopo alcuni minuti veniva fatta rientrare l’estranea nella stanza che poteva consolare il piccolo se necessario. Infine, la mamma veniva fatta rientrare concludendo così l’esperimento.

Dall’osservazione delle registrazioni di numerose Strange Situation la Ainsworth e colleghi hanno notato tre pattern ricorrenti di comportamenti nei bambini. Una grossa quota del campione era costituita da bimbi che al distacco iniziale dalla mamma piangevano, protestavano ma che successivamente potevano calmarsi, esplorare l’ambiente, interagire con l’estranea e che apparivano festosi quando vedevano la madre rientrare.  C’erano poi bambini che apparentemente non sentivano con sofferenza il distacco dalla mamma e non apparivano spaventati dall’estranea: rimanevano per tutto il tempo a giocare con i giochi in tranquillità ed apparivano indifferenti al rientro della mamma. C’erano infine bambini che protestavano al distacco dalla mamma ed apparivano estremamente rabbiosi e difficilmente consolabili anche al suo rientro, come se non riuscissero a far “spegnere” l’interruttore della sofferenza accesosi con il distacco dalla mamma. Inizialmente gli Autori ritennero erroneamente che i bimbi tranquilli del secondo gruppo fossero i bambini più sicuri nell’attaccamento: invece, osservazioni ulteriori li portarono a ri-classificare quel gruppo come gruppo caratterizzato da particolari distorsioni nello stile di attaccamento per cui i sentimenti negativi non potevano essere liberamente espressi pena la perdita della sintonizzazione affettiva con il caregiver. Erano i bimbi A o insicuri-evitanti che potevano falsificare gli stati affettivi negativi accentuando invece stati cognitivi positivi. C’era poi il primo gruppo, quello dei piccoli rassicurati dal ritorno della mamma e spaventati ed arrabbiati per la separazione da lei: erano i bimbi sicuri o B. Se si pensa all’attaccamento come ad un sistema motivazionale biologicamente innato, il pianto da separazione con la figura di riferimento lungi dall’essere un capriccio rappresenta invece per il piccolo un comportamento di richiamo dell’attenzione dell’adulto di riferimento volto alla ricerca di protezione e cure in un ambiente potenzialmente ostile.

Infine, c’erano i piccoli classificati come C o insicuri-ambivalenti, che rappresentavano una categoria a medio livello di disagio psicologico: erano bimbi caratterizzati da un legame con una mamma presente “a corrente alternata”. Seppure maggiormente responsiva ed emotivamente calda della mamma dei piccoli classificati come evitanti, era però una mamma non costantemente rispondente in modo sintonico alle richieste del figlio. Di fronte al medesimo segnale ella poteva infatti essere a volte presente, a volte assente, a volte intrusiva anticipando i bisogni e le richieste del figlio, a volte distanziante i medesimi. Il bambino, alla ricerca di regolarità, scopre ben presto che il modo più probabile per garantirsi la totale attenzione della mamma è alzare l’asticella delle proprie richieste e dei propri bisogni mettendo in atto comportamenti provocatori, oppositivi o rischiosi per sé. Sono bambini che falsificano la cognitività (perché imprevedibile negli esiti) amplificando stati affettivi negativi.

Successivamente, Main e Solomon hanno introdotto come ulteriore etichetta diagnostica la cosiddetta categoria di attaccamento Disorganizzata o D residuale rispetto alle altre per poter includere quei bambini che alla Strange Situation si comportavano in maniera diversa dagli altri tre gruppi, mostrando nei confronti dei genitori alla riunione comportamenti disorganizzati e conflittuali contemporaneamente indicativi di ricerca di vicinanza e di distanza. Successivamente Liotti e collaboratori hanno meglio esplorato le caratteristiche della Disorganizzazione infantile, tipica di storie di attaccamento traumatiche, ipotizzando che l’individuo successivamente nella seconda infanzia si riorganizzi per tendenze omeostatiche interne, mettendo in atto strategie di compenso controllanti sull’ambiente esterno di tipo accudente o di tipo dominante a seconda delle variabili ambientali specifiche.

Il modello dinamico-maturativo (DMM) della teoria dell’attaccamento teorizzato da Patricia Crittenden vede l’elaborazione delle informazioni (specificatamente quelle riguardanti gli altri esseri umani o da essi provenienti) e l’organizzazione della protezione del Sé come i presupposti fondamentali per lo sviluppo delle relazioni di attaccamento nell’arco della vita (Crittenden, 1997, 2002; Crittenden e Claussen, 2000b). Secondo il DMM lo sviluppo si pone in interazione dinamica con l’esperienza in una sorta di continua “riorganizzazione” che, in quanto tale, prevede cambiamenti nella qualità dell’attaccamento, soprattutto in quei periodi in cui si assiste a maggiori mutamenti evolutivi (Crittenden, 1994). Sono in particolare le informazioni concernenti la predizione del pericolo e la relativa possibile protezione che costituiscono la base per la costruzione della qualità dell’attaccamento stesso e delle distorsioni del modo in cui queste informazioni vengono elaborate (Crittenden, 1981; Crittenden e Ainsworth, 1989). La capacità di elaborare informazioni e la loro distorsione permettono l’individuazione di un percorso evolutivo adattativo piuttosto che la formazione di un sintomo psicopatologico. Secondo la Crittenden (1994, 1997), due sono gli aspetti fondamentali del funzionamento mentale: la ricerca delle regolarità e delle ridondanze da una parte, la ricerca delle discrepanze tra ciò che era atteso e ciò che è avvenuto dall’altra. Nell’ambito delle relazioni di attaccamento, la regolarità e le discrepanze riflettono percezioni e interpretazioni del significato del comportamento materno da parte del bambino.