“Ogni stress lascia una cicatrice indelebile, e l’organismo paga per la sua sopravvivenza dopo una situazione stressante, diventando un po’ più vecchio.” (H. Selye)
Le cicatrici che portiamo sono invisibili agli occhi altrui ma costantemente presenti in noi stessi; ci ricordano chi siamo, le situazioni che abbiamo affrontato facendo forza sulle nostre risorse interiori. A tutti sarà capitato di attraversare un periodo della vita particolarmente intenso e non facile da affrontare, e di conseguenza di sentirsi come sopraffatti dagli eventi, in balia di questi, schiacciati e pressati da circostanze ambientali che non potevano essere evitate. Così ci ripetiamo di continuo “Ce la farai, passerà presto!” Ma ahimè, non sempre si riescono a fronteggiare le avversità o ad adattarsi. Si sopporta, ancora e ancora, finché ad un certo punto si esauriscono le energie e si piomba in uno stato di sconforto. Quale significato possiamo dare a questo stato? Abbiamo sentito molto parlare di stress e ognuno, in un certo periodo della vita, lo ha sperimentato sulla propria pelle. Lo stress è una reazione emozionale particolarmente intensa, provocata da stimoli esterni. Questo significa che rispondiamo alle stimolazioni esterne mettendo in moto delle risposte sia fisiologiche che psicologiche di natura adattiva (Selye, 19719). Cosa succede quando la tensione ci imprigiona? Quali cambiamenti si possono osservare nel nostro organismo? A livello fisiologico, lo stato di tensione si esprime con un aumento della frequenza cardiaca, si sperimenta la sensazione di avere i nervi a fior di pelle, cambia anche il nostro modo di respirare, il ritmo infatti si fa irregolare (respirazione superficiale o toracica), la muscolatura è tesa. Tipica è la percezione di sentirsi sempre all’allerta, frequenti le difficoltà legate al sonno (insonnia), e le problematiche che interessano l’apparato gastrico. Questi sono soltanto alcuni esempi che aiutano ad individuare e riconoscere lo stato di disagio in cui ci si ritrova. Le situazioni nelle quali sperimentiamo stress, per esempio in ambito affettivo, economico o lavorativo, ci logorano e sono tanto più gravi quanto la durata di esposizione alla situazione che provoca lo stato di tensione. Proviamo ad immaginare di essere vittime di violenza, quindi di trovarci nella condizione di essere aggrediti improvvisamente da qualcuno oppure di vivere un evento legato alle calamità naturali, o ancora essere esposti ad una situazione temuta che abbiamo cercato di evitare il più possibile (per esempio parlare in pubblico). In questi stati estremi in cui c’è una minaccia imminente, oppure nel momento in cui cerchiamo di affrontare la situazione senza renderci conto che in realtà stiamo pretendendo troppo da noi stessi, sperimentiamo uno stato di tensione insopportabile che potrebbe avere delle ricadute sulla nostra condizione di salute mentale. Finora abbiamo descritto lo stress in termini puramente negativi, cioè solo come un qualcosa che ci danneggia irreparabilmente, ma oltre allo stress negativo e disadattivo, chiamato “distress”, esiste anche lo stress positivo, “eustress”, necessario per mantenerci reattivi di fronte alle sfide che la nostra vita continuamente ci pone davanti.
Generalmente lo stato di stress presenta due componenti:
1- un fattore di stress (stressor) cioè l’evento che crea l’esigenza di cambiamento;
2- una risposta allo stress.
Lo stress è percepito e valutato in modo diverso da ognuno di noi, questo perché si attribuisce un personale significato e si adottano determinate misure per controllarlo. Lazarus a tal proposito ha introdotto due concetti per spiegare la diversa percezione dello stress nell’individuo, i concetti di valutazione e di coping. La valutazione può essere descritta come un processo mentale che permette di attribuire un significato soggettivo all’evento; il coping invece può essere definito come l’insieme dei tentativi che mettiamo in atto per controllare gli eventi ritenuti difficili o superiori alle nostre risorse.
Quali sono le fasi che descrivono la risposta di stress?
Abbiamo tre fasi distinte:
1- la fase di allarme: lo stressor suscita nell’organismo un senso di allerta chiamato arousal con conseguente attivazione dei processi psicofisiologici;
2- la fase di resistenza: l’organismo cerca di adattarsi alla situazione, per cui gli indici fisiologici tendono a normalizzarsi anche se lo sforzo è intenso;
3- la fase dell’esaurimento: si tratta di una fase in cui viene a mancare la naturale capacità di adattamento. L’esposizione prolungata ad una situazione di stress può provocare l’insorgenza di patologie fisiche e psichiche.
Queste tre fasi riassumono esattamente quello di cui parlavamo prima, se inizialmente ci attiviamo e cerchiamo di adattarci alla situazione tirando avanti per molto tempo credendo di potercela fare, in un secondo momento, nella fase dell’esaurimento, siamo costretti a fare un passo indietro perché non abbiamo più le energie necessarie per poter far fronte agli eventi. Ciò di cui stiamo parlando interessa più o meno tutti ma la differenza sta nel fatto che ognuno di noi ha la sua soglia di vulnerabilità allo stress. Questo concetto di vulnerabilità è il risultato di molti fattori combinati tra loro, fattori: genetici, ambientali, sociali (J. Zubin, B. Spring).