Dove la Scienza ha sbagliato nel suo comunicarsi
Ormai, a mesi dalla prima volta in cui abbiamo sentito nominare il virus e la sua malattia, la Covid-19, abbiamo imparato a convivere con l’eterogeneità delle notizie che ci vengono sottoposte dai vari giornali: giornali i quali, è pur vero, si limitano a riproporre «opinioni» di scienziati che, pur essendo specializzati nei più promiscui settori della medicina, non vedono l’ora di dire la loro, entrando, spesso e volentieri (seppure davvero si possa azzardare di dire “sempre”), in contraddizione con qualcosa detto da qualcun altro. Certamente i giornali non aiutano, poiché, da una effettivamente duttile e malleabile opinione, si passa ad una sua smussatura che la rende quanto più conveniente possa essere al tornaconto della testata giornalistica, soprattutto a livello di visibilità.
Con questo assolutamente non vogliamo dire di diffidare dall’informazione canonica: solamente suggerire di aguzzare l’occhio critico e smascherare, con circospezione ma gran senso del sospetto, la convenienza (che modernamente prende anche il nome di “clickbaiting”) celata dietro alcune righe dei notiziari, tele-giornalistici o meno che siano.
Eppure non siamo qui certamente per questo: tralasciando il discorso fino ad ora intrapreso, vorremmo soffermarci, invece, sul fulcro e l’anima della questione, ossia la Scienza, quella che dai giornali di cui abbiamo parlato, appunto, viene riportata; in modo più approfondito, cercheremo filosoficamente di rinvenire gli errori della scienza nel suo comunicarsi. Dove, insomma, ha sbagliato la Scienza quando si doveva rendere conoscibile e comprensibile, tanto da rendersi agli occhi dei più contraddittoria?
Checché se ne dica, l’argomento in questione non è assolutamente nuovo per quanto riguarda l’ambito epistemologico, e di storia della scienza: la contraddizione, all’interno dell’ambito scientifico, è anzi sempre esistita, e non solo. Proprio da questo suo essere intra-contraddittoria possiamo dire che essa, la Scienza, sia realmente progredita: si può dire che, con l’avvento del Positivismo ottocentesco, e del Neopositivismo novecentesco (Circolo di Vienna), la “persona comune” abbia assunto un atteggiamento di massima fiducia (e «fede?») nei confronti della Scienza. Come se si fosse reso innocentemente dogmatico quanto è in realtà frutto di un’attenta analisi critica e di un rigoroso metodo probante la veridicità di una purchessia ipotesi.
Eppure, questa interna scissione proficua, è – o dovrebbe – essere ben conosciuta dagli addetti ai lavori, tanto che, uno di loro, Thomas Kuhn, nel 1962, riesce a condensare in un piccolo saggio epistemologico che confina, però, in modo esplicito, con la Filosofia, l’evoluzione scientifica che, secondo lui, giustappunto, si dà solo, ed esclusivamente, grazie alla «rivoluzione».
Il vero «avanzamento scientifico» si dà ed è risolto nella rivoluzione, la quale, come recita il Treccani, è “[…]un processo di sovvertimento – di ampie proporzioni ma compreso in un periodo di tempo definito e in genere accompagnato dall’uso di mezzi violenti – dell’ordine costituito[…]”: questo significa che la rivoluzione scientifica provoca un avanzamento solamente nella misura in cui sovverte completamente l’ordine precedentemente costituito; ordine inteso come precedente paradigma, come precedente approccio scientifico alla realtà.
Paradigma è, infatti, un termine molto caro a Kuhn, il quale lo fa proprio e lo fa significare in questo modo: “è lo strumento per una ulteriore articolazione e determinazione sotto nuove o più restrittive condizioni”(T. Kuhn, La Struttura delle Rivoluzioni Scientifiche, Einaudi, 1995, Torino, pp.43). In altre parole, il paradigma kuhniano è quel principio esatto partendo dal quale è possibile sviluppare altre considerazioni; il principio esatto – ma come vedremo assolutamente controvertibile – con il quale approfondire, in una data questione scientifica, un fenomeno.
E’ subito intuibile, quindi, cosa sia per Kuhn una rivoluzione scientifica: è il momento nel quale vi è una «anomalia» (proprio lui la chiama così) che rende i paradigmi fino a quel momento considerati, non più seguibili, non più affidabili. A questo punto subentra la necessità di una rivoluzione che comporti l’abbandono dei paradigmi non più funzionanti e che ne promuova dei nuovi migliori e più scientificamente attendibili. E’ la scienza che si supera attraverso la contraddizione: facendola sua, avanza promuovendo un nuovo modo di approccio ai fenomeni, una nuova maniera di considerarli che però, inesorabilmente, sarà anch’essa sostituita, attraverso una nuova rivoluzione, ciclicamente. Per Kuhn, quindi, come abbiamo detto, la rivoluzione è necessaria per il reale avanzamento scientifico.
“Le rivoluzioni si concludono con la vittoria totale di uno dei due partiti opposti. Potrà mai succedere che quel gruppo affermi che il risultato della sua vittoria è qualcosa di meno di un progresso?” (T. Kuhn, La Struttura delle Rivoluzioni Scientifiche, Einaudi, 1995, Torino, pp.200).
Riportando il tutto in seno alla Filosofia in senso puro, come per Hegel l’intera realtà è il frutto di un eracliteo conflitto, di uno scontro tra contrari, di una dialettica dove la sintesi, il superamento, non è altro che l’introiezione, la digestione, del negativo, di quanto ci arreca dolore, sofferenza, l’intero avanzamento scientifico è composto dalla contraddizione e dal superamento che non ripudia, bensì ingloba, la suddetta contraddizione: è del tutto naturale che la scienza sia contraddittoria. Il problema sarebbe se non lo fosse.
La scienza in sé e per sé non ha mai avuto la pretesa o la presunzione di essere sempre e comunque ineluttabilmente esatta: la situazione attuale di percepita – com’è giusto che sia – eterogeneità, solo che erroneamente letta in senso esclusivamente negativo, deriva quindi da fattori duplici, i quali possono essere, in primis, semplici opinioni spacciate per episteme, scienza esatta, da scienziati consideratesi illuminati, ed in secondo luogo il fatto che l’individuo completamente affrancato dal metodo scientifico e dalla scienza fosse più abituato a credere nello scientismo, che nella scienza in quanto tale.
In conclusione, possiamo considerare il titolo avente un significato duplice: “gli errori della scienza” ossia gli errori dei quali è composta la scienza e grazie ai quali si evolve, e “gli errori della scienza” che ha commesso nel suo essersi comunicata in modo tale da essere ritenuta negativamente divergente tanto da essere ritenuta insoddisfacente.
Gli Errori della scienza è originariamente apparso presso Gazzetta Filosofica e Pensiero Filosofico