AUTISMO E VITALITY FORMS

Articolo della Dott.ssa Emanuela Calò

Supervisor: Dott. Antonino La Tona

L’autismo è considerato un disordine neuropsichiatrico complesso, ad esordio in età evolutiva, con una grande differenza di espressività clinica da soggetto a soggetto. In particolar modo, però, questi soggetti presentano specifici ambiti deficitari come le aree funzionali dell’interazione, della comunicazione sociale e della flessibilità dei processi di pensiero.

Con l’incremento dell’interesse scientifico verso tale condizione, si è iniziati sempre più ad indagare le molteplici caratteristiche dei soggetti con Disturbo dello Spettro Autistico(ASD), approfondendo ulteriormente le aree già individuate sotto diversi punti di vista.

La “Broken Mirrors Theory”..

Sicuramente una delle teorie che ha fatto più scalpore negli anni, è stata quella sviluppata da Ramachandran e Oberman nel 2006, meglio conosciuta come “Broken Mirrors Theory”.

Questa teoria nasceva in seguito all’approfondita analisi della Teoria dei Neuroni Specchio, pubblicata precedentemente da Rizzolatti e il suo gruppo di ricerca dell’Università di Parma. In questa teoria si analizzava il sistema dei neuroni specchio, il quale è considerato un meccanismo neurofisiologico tramite il quale le azioni percepite degli altri vengono rievocate nel sistema motorio del soggetto che osserva.

Da qui comprendiamo come il concetto di intersoggettività è fondamentale e che,secondo Ramachandran e Oberman, tale meccanismo alla base della comprensione intenzionale e della condivisione intersoggettiva,è estremamente compromesso in soggetti con Autismo. Per tale motivo il processo di simulazione risulta essere deficitario, non funzionando come all’interno di soggetti normotipici.

Infatti questa stessa capacità di simulazione è considerata primordiale e innata, utile per relazionarsi e comprendere gli altri fin dalla nascita. Basti pensare all’interazione che avviene tra madre e bambino, la quale è fondata su capacità intrinseche all’interno del nostro sistema. Infatti, è proprio grazie a questi elementi che siamo in grado di rilevare e condividere i vitality forms, i quali costituiscono uno dei primi accessi all’esperienza soggettiva dell’altro e ci permettono di associaread un’azione una componente emotiva. Essi sono alla base della comunicazione prelinguistica e,la loro mancanza, impedisce l’accuratezza della sintonizzazione durante le interazioni sociali.

Chi è quindi affetto da autismo non è in grado di discernere l’intenzione dall’emozione che accompagnano i gesti delle persone che li circondano.

Secondo Daniel Stern (2010), il quale è stato il primo ad introdurre tale concetto, indichiamo la presenza di “un gestalt che emerge dall’esperienza teoricamente separata di movimento, forza, spazio e intenzione, e che rappresenta un’esperienza vissuta costante e soggiacente nella vita personale cosi come nella relazione con gli altri”. Stern propose la possibilità di riconoscere i vitality forms in quanto parte del nostro movimento ed associare ad esso una componente emotiva.

Tutto ciò in chi soffre di ASD non avviene, in quanto queste persone presentano, per l’appunto, un deficit a livello del rapporto comunicativo con gli altri, dove la comprensione è compromessa. Essa seguirebbe un’analisi letterale e non interpretativa dei gesti assunti da parte degli altri, con scambi interpersonali goffi, per via di una mancanza di rispecchiamento sé-altro.

Tutto ciò è stato sostenuto da prove evidenti, le quali hanno sottolineato come bambini a sviluppo tipico siano in grado di discriminare fin dall’inizio dello sviluppo i vitality forms,a differenza di quanto riscontrato da Rochat e colleghi nel 2013, i quali hanno esplorato quanto i soggetti con Autismo possano essere considerati sensibili ai vitality forms. In questo studio il campione era costituito da bambini e adolescenti con ASD e a sviluppo tipico, i quali venivano sottoposti all’osservazione di coppie di videoclip all’interno dei quali vi erano due attori che eseguivano delle azioni l’uno verso l’altro.Queste azioni venivano svolte o in forma energica o in forma gentile e i partecipanti dovevano classificare la tipologia di movimento secondo il “cosa”e il “come”. I risultati dimostrarono come i bambini con ASD, sebbene in grado di riconoscere il “cosa” delle azioni, non erano in grado di individuare il “come” e quindi la componente relativa ai vitality forms.

L’incapacità di riconoscimento dei vitality forms potrebbe costituire, quindi, una parte fondamentale del deficit sociale già clinicamente dimostrato dei bambini con ASD.

Vista tale incapacità di cogliere i vitality forms in soggetti con ASD, potremmo parlare di questa componente deficitaria come uno dei marker dell’autismo. Non si ha ancora ben chiaro se questa capacità,durante l’intervento terapeutico, può subire un miglioramento lavorando direttamente su essa,o se è necessario focalizzarsi su aspetti affini, garantendone il potenziamento e la sua sostituzione. Nonostante questo, rimane un aspetto sul quale si potrebbe cercare di lavorare per facilitare e rendere il più tempestiva possibile la diagnosi di ASD anche nei bambini molto piccoli.

Bibiliografia:

Gallese,V.,&Rochat,M.J.(2018).Forms of vitality: their neural bases, their role in social cognition, and the case of autism spectrum disorder. Psychoanalytic Inquiry, 38(2), 154-164.

Rochat,M.J.,Veroni, V.,Bruschweiler-Stern,N.,Pieraccini,C.,Bonnet-Brilhault,F., Barthélémy, C.,…& Rizzolatti, G. (2013). Impaired vitality form recognition in autism.Neuropsychologia,51(10),1918-1924.

Stern,D. N.(2010).Forms of vitality: Exploring dynamic experience in psychology,the arts, psychotherapy,and development.Oxford University Press.