I bambini ipersensibili piangono facilmente, non si difendono quando vengono scherniti dai compagni, preferiscono seguire il gruppo anziché trascinarlo, si imbarazzano molto quando la maestra li coglie in errore e si esaltano eccessivamente quando invece vengono elogiati. Prendono tutto quello che accade attorno a loro e lo moltiplicano per un coefficiente pari alla loro sensibilità.
Anche se la sensibilità presenta numerosi vantaggi, a volte viene considerata un problema nei bambini. Per questo capita di sentire i genitori o le mastre esclamare: “Smettila di essere così sensibile!“
Una frase del genere è il preludio di sofferenze future per il bambino. È come se fosse stato criticato per una sua caratteristica fisica, qualcosa che non può cambiare a piacimento. Il bambino impara che ciò che lo rende unico rispetto agli altri bambini è considerato un difetto dagli adulti.
Questo conflitto interiore dà vita a tre comportamenti disfunzionali che possono protrarsi fino all’età adulta e diventare schemi relazionali stabili.
Allontanarsi dalle sensazioni del corpo.
L’ipersensibilità si manifesta primariamente sul corpo. Il mondo esterno viene percepito e quando passa il filtro cognitivo dei bambini ipersensibili diventa una reazione fisica, del corpo. Per esempio, l’intensità della paura di fronte a un film dell’orrore sarà enorme per un bambino ipersensibile mentre uno senza questa caratteristica non proverà alcunché alla visione di quei mostri. Il corpo del bambino ipersensibile reagirà creando una situazione di sgradevole malessere per suggerire al bimbo di allontanarsi da quella visione.
Il fastidio fisico non è proprio solo della paura, tutte le emozioni negative lo producono: ansia, paura dell’abbandono, tristezza, gelosia, timidezza, rancore, eccetera.
Non potendo fermare quel malessere sul piano cognitivo, il bambino imparerà progressivamente a non ascoltare il suo corpo, a distaccarsi da esso fino a considerarlo una volgare appendice della sua mente.
Nei casi più gravi l’allontanamento dalle sensazioni somatiche diventa totale. Non prestano più attenzione nemmeno a quei segnali di avvertimento lanciati dal corpo per avvertire della stanchezza. Per questo le persone ipersensibili non di rado spingono il fisico oltre il limite, ad esempio lavorando più di quello che possono sopportare, e improvvisamente si ammalano: la malattia è l’unico modo che rimane al corpo per dire basta.
Omologare il proprio punto di vista a quello degli altri.
Il bambino ipersensibile è capace di guardare oltre l’ipocrisia meglio di quanto facciano gli altri bambini e addirittura meglio di quanto facciano gli adulti. Ad esempio, se i suoi genitori parlano male di un ospite che è appena andato via, con il quale rideva e scherzavano fino all’istante prima, il bambino se ne accorge è trova il comportamento ambivalente di mamma e papà molto strano. Però in queste occasioni, se il bambino chiede spiegazioni, i genitori tendono a glissare l’argomento, a volte persino a rimproverare loro figlio per quelle osservazioni temendo che possa raccontare qualcosa ai prossimi ospiti.
In questo modo il bambino impara che il suo modo di vedere il mondo è sbagliato, fa arrabbiare i suoi genitori ed è causa di emozioni spiacevoli. Al contrario, se rinuncia a cogliere le contraddizioni e accetta stolidamente il punto di vista degli altri, viene premiato. La tendenza genitoriale è sempre quella di elogiare il bambino quando inizia a pensare come loro, perché si sentono lusingati. Non capiscono quanto sia strano per un bambino ipersensibile sentirsi ripetere che nonna è buona e poi sentirla nel privato lanciare ingiurie contro tutti i vicini del circondario.
La ricerca della tranquillità e dell’amore familiare convince il bambino a rinunciare al suo punto di vista. Nei casi più gravi la rinuncia è totale e piano piano perde la sua interpretazione genuina del mondo per diventare un surrogato delle idee degli adulti che lo circondano. Diventa debole e incapace di sostenere le proprie opinioni.
Percepire se stesso attraverso gli occhi degli altri.
I bambini ipersensibili hanno una grande qualità, riescono a mettersi nei panni degli altri e a guardare il mondo con i loro occhi. La prima cosa che guarda il bimbo ipersensibile attraverso le pupille dei chi gli sta accanto è se stesso. “Cosa penserà di me la persona che ho davanti”, si chiedono. Poiché sanno la risposta e poiché desiderano essere amati adattano il loro comportamento all’interlocutore. Non vogliono deluderlo altrimenti soffrirebbero.
Proprio come Zelig di Woody Allen, i bambini ipersensibili si trasformano continuamente per soddisfare le esigenze e le aspettative di tutti. Ci riescono benissimo. Il problema nasce quando si mescolano i contesti: due persone che si aspettano dal bambino due differenti comportamenti si trovano nella stessa stanza. Per esempio la mamma, con il quale il bambino si dimostra quieto e l’amichetto di scuola con il quale invece si comporta in modo spavaldo. Una situazione del genere è irrisolvibile per lui e sarà costretto a inventare un terzo comportamento per coniugare le esigenze di entrambi, ad esempio stare male.
L’interpretazione che il bambino fa delle aspettative dell’altro è rigida e dogmatica. Non si tratta di uno sguardo onesto, si tratta di come si immagina che quello sguardo sia. Nella peggiore delle ipotesi questo sguardo non cambia perché si fissa sulla prima idee, quindi il comportamento che ne deriva, magari in un primo momento andava bene, ma siccome non tiene conto dell’evoluzione della situazione, a lungo andare diventa fuori luogo.