COMBATTIAMO LA GUERRA: MANDIAMO I POETI A GOVERNARE IL MONDO…

Da due anni il mondo sta con il fiato sospeso, prima per la guerra del Virus agli umani, poi per la guerra dei Russi agli Ucraini, senza ancora che la prima sia del tutto finita, mentre la seconda non si ha idea di quando finirà. Non so se è causa di questo sfondo di grande precarietà, ma vivere in periodi estremi e improbabili credo che faciliti un pensiero non ordinario, specie se uno ha giù una certa inclinazione a lasciare andare i pensieri e stare a vedere dove arrivano. Circostanze assolutamente straordinarie come quelle che stiamo vivendo, di fatto richiedono quanto meno di relativizzare gli assunti convenzionali e di assumere angoli visuali differenti che consentano di andare oltre i luoghi comuni e il conformismo ideo-cognitivo.

Queste considerazioni forse anche per giustificare, prima di tutto a me stesso, un pensiero che mi frulla in testa da un bel po’ e che a forze di frullare più che liquefarsi assume sempre più consistenza e significanza. E cioè la convinzione – come ho già, qua e là, accennato in qualche post – che fino a quando non troveremo il modo di mandare al potere personalità mature e integrate, dotate di saggezza ed empatia, rispetto per la vita e per il bene comune, l’umanità si troverà sempre sul filo del rasoio, molto più pericoloso e tagliente dei fili del rasoio del passato per via del fatto che la potenza di fuoco tecnologica e la globalizzazione delle crisi, estende subitaneamente inauditi pericoli a tutto il mondo, e tutto il mondo coinvolge.

Questa affermazione sembra un retaggio di filosofie antiche, riecheggia fortemente la “Repubblica” di Platone, per arrivare ai nostri giorni al controverso e problematico concetto di “epistocrazia” formulata di recente dal politologo e filosofo americano Jason Brennan, secondo il quale bisognerebbe trovare il modo di dare più rilevanza al voto delle persone politicamente più consapevoli, o fare qualcosa per aumentare il grado di conoscenza politica dell’elettorato. Come si vede subito il problema non è di facile soluzione e potrebbe portare facilmente a delle derive antidemocratiche paradossali. Purtuttavia la questione che oggi voglio brevemente evidenziare rimane in tutta la sua rilevanza e credo che per ora non passa giorno che non ci siano buoni motivi per riproporla. I motivi ce li offrono proprio quei capi molto poco saggi, ed ancora meno avveduti, che in questo momento gestiscono le sorti del mondo, non avendo neanche la capacità di gestire le sorti dei propri discorsi. Cominciamo questa breve carrellata di orrori semantici e linguistici da Boris Johnson che la settimana scora ha affermato che la resistenza del popolo ucraino è simile al voto degli inglesi per la Brexit; a parte la facile e scontata ironia che mentre i primi lottano per entrare in Europa, i secondi hanno votato per uscirne, ci sarebbe anche da valutare che nel frattempo gli inglesi stanno toccando con mano le conseguenze altamente negative dell’uscita dall’UE e una parte dei favorevoli alla Brexit credo che si sia già pentita.

Ma Johnson ci ha già da tempo abituati a scempiaggini e bizzarrie di ogni genere, anche di gusto estremamente sgradevole, come quando non ha esitato a organizzare party superalcolici subito dopo la scomparsa del Principe Filippo. Chi può essere considerato una new entry nella top ten delle affermazioni scellerate o inopportune è invece Volodymyr Zelensky che qualche giorno fa, davanti al Parlamento Israeliano, ha paragonato l’invasione dell’Ucraina, e i disastri per quanto immani che ne sono conseguiti, all’Olocausto, suscitando l’inevitabile reazione fortemente risentita degli Israeliani; anche se possiamo riconoscere al presidente ucraino l’attenuante dello stress elevato che sta subendo da un mese a questa parte, è però evidente che un’affermazione così sopra le righe e che viola un aspetto estremamente doloroso intorno al quale si è strutturata l’identità recente del popolo ebraico risulta del tutto sconsiderata e inadeguata. Altra perla, di pochi giorni fa, l’affermazione del presidente Biden che definisce Putin un macellaio che deve essere rimosso dal ruolo che occupa.

La questione qua non sta nella veridicità dell’affermazione (qualcuno sostiene che il presidente americano abbia detto la pura e semplice verità) ma nel suo essere inopportuna se pronunciata dal capo di stato della nazione più potente del mondo in un momento di gravissima crisi internazionale. Anche le parole infatti, in relazione a quando, come e da chi sono pronunciate, possono divenire atti di guerra o, comunque, promuovere una escalation di tensione che in questo momento sembra l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno. Tre esempi recenti, ma su questo tema si potrebbero scrivere libri (e ne sono stati scritti, per esempio la raccolta di colossali assurdità pronunciate da uno dei gaffeur più rinomati dell’ultimo secolo che risponde al nome di George W. Bush, ma su un altro presidente americano, Donald Trump, più che una raccolta si potrebbe scrivere un’enciclopedia) a dimostrazione della scarsa competenza linguistica ed emotiva di coloro che mandiamo ai vertici più alti del potere. Se agli errori di contenuto e di stile, di significato e di opportunità, andiamo poi a sommare le menzogne, le bugie di ogni genere, le falsità manipolative della realtà che questi ineffabili capi ci propinano dall’alto dei loro scranni (oggi forse bisognerebbe dire dal basso dei loro Social) il panorama finale è veramente molto sconfortante. Il fatto che io abbia finora trascurato i politici nostri connazionali non deve far pensare che voglia salvarli dallo sfacelo linguistico e letterario e dall’abominio culturale: gli stupidario in più tomi delle loro affermazioni richiederebbe l’intero scaffale di una libreria degli orrori. Piuttosto rileggendo adesso quello che ho scritto mi accorgo che i tre esempi che più sopra ho riportato (Brexit, Olocausto e Macellaio) rappresentano tre incongrue metafore che sono state incautamente utilizzate per dare colore e spessore al discorso e per renderlo più convincente, col risultato di attirarsi le critiche del mondo intero (o almeno di quella parte del mondo scevro da faziosità tali da impedire qualsiasi critica libera e obiettiva).

Con la tangenzialità che può contraddistinguere chi per mestiere è contiguo alla tangenzialità delle persone che ascolta quotidianamente (e dalle quali ogni tanto anche impara) mi verrebbe da pensare a quanto il mondo starebbe meglio se i suoi destini fossero affidati a dei professionisti delle metafore e delle figure retoriche, e che sanno trasferire nel linguaggio e nei suoi mirabili arabeschi, tutta la forza del sentimento e della ragione; il linguaggio poetico smaschera e disvela, per chi ha la pazienza di ascoltarlo, in egual misura a quanto quello politico maschera e occulta, corrompe e inquina. Ecco il mio sogno, per chi è riuscito a leggere sin qui (cosa che mi lascia sempre grato ed incredulo): i poeti e i sapienti al potere, coloro che sono dotati della virtù di rivelare la verità nascosta nelle cose della vita e che questa vita esaltano in tutto il suo portato indicibile di gioie e di dolori. Il potere delle parole belle, come le chiama Platone nel Carmide, unito alla forza della verità e al rispetto della vita. Questa è la mia equazione per i capi di stato del futuro, speriamo non lontano.

Nell’attesa che questa onirica utopia possa varcare i limiti di una mente psichiatrica e contagiare in una sorta di benefica pandemia poetica e letteraria più gente possibile, mi limito (?) a dire che forse una cosa concreta e non immaginifica potremmo farla già da ora: la cura delle parole, la cura del linguaggio, l’esercizio alla verità e alla bellezza che sole possono garantirci l’accesso a un mondo armonioso e godibile. Oggi la vera sfida politica, più e meglio di prima, riguarda proprio la cultura e l’arte, queste, io credo, ci consentiranno di salvare un pianeta disastrato dall’orrore di emozioni distruttive, queste sole ci potranno garantire di proteggere la vita delle persone e della natura. E di questo i nostri figli hanno massimamente bisogno in quella che è diventata l’emergenza educativa più stringente: la pedagogia della bellezza, la conoscenza e il buon uso delle parole e dei sentimenti.