Francesco ‘M’ Zurlo è uno psicoterapeuta che, oltre a lavorare in campo clinico ed insegnare in ambito accademico, lavora con importanti aziende e istituzioni in qualità di formatore, coach, consulente strategico ed esperto di comunicazione. Il seguente aneddoto è ripreso dal suo prossimo libro, ancora inedito.
Ricordo quando da bambino riuscii a convincere gli adulti – con l’arma segreta fanciullesca dell’insistenza – a farmi restare lì mentre questo vecchio maniscalco taciturno ferrava un cavallo a caldo.
Anni più tardi scopersi che molti vecchi maniscalchi calabresi bevono vino q.b. prima di ferrare i cavalli. Non credo si tratti di una regola, e ciò che mi interessa è in ogni caso l’insegnamento; se infatti ne chiedete il motivo, il vecchio maniscalco vi risponderà con questa saggezza: io bevo e sono tranquillo così anche il cavallo è tranquillo e tutto il lavoro è tranquillo.
I vecchi maniscalchi calabresi hanno quindi trovato un loro modo di gestire la dimensione della relazione con se stessi e l’altro, di “domare il cavallo della mente”. Chiamo questo modo ironicamente “la sindrome del maniscalco ubriaco”.
A me questo esempio piace perché il risultato dell’abilità del maniscalco è un processo plastico di adattamento flessibile che permette di eliminare quanto più possibile la differenza tra il ferro e lo zoccolo nel processo di pareggio-ferratura. Certo, forse questo esempio farà sorridere alcuni, eppure abbiamo molto da imparare dal maniscalco ubriaco. C’è più saggezza nel maniscalco calabrese che si ubriaca che in molti di noi consulenti: egli ha compreso non solo che l’abilità tecnica non basta (occorre l’abilità relazionale) ma che i suoi stati interiori influenzano tutto ciò che avviene (da cui la regola della Psicologia dell’Informazione: Le emozioni possono sporcare l’informazione eppure sono il punto di accesso privilegiato ad essa).
Spesso, proprio le persone più intelligenti e abili difettano di quell’intelligenza relazionale ed emotiva che si rivela nei fatti decisiva in tutti i processi, dalla gestione di un team alla presa di decisione, come non a caso ho scritto parlando degli errori dei leader.
Per dirla in altri termini, dentro di noi c’è un cavallo che nitrisce impedendoci di scoprire e ascoltare sia l’altro sia, infine, noi stessi.
Ma parlare di abilità relazionali non è semplice. Questo tipo di abilità non può essere tradotto nel linguaggio della tecnica senza perdere se stesso: in comunicazione non si può tradurre un modulo in un altro modulo senza snaturare l’informazione.
In questo contesto ciò che appare bizzarro, come molte delle cose che noi consulenti proponiamo, risulta tale solo in funzione di un sistema di credenze, idee e pregiudizi diffuso. Come quando qualcuno ha iniziato a pensare “ma la ferratura è davvero un male necessario?” e si è iniziato a sferrare i cavalli e scoprire che forse la ferratura non è sempre indispensabile. Su questa idea vorrei muovere un altro esempio, una variazione su tema.
I vecchi cavalieri credevano che andare indietro con il corpo e tirare le redini aiutasse il cavallo a saltare. Queste credenze erano sbagliate e nessuno oggi si sognerebbe di “restare indietro” con il corpo e tirare le redini mentre il cavallo salta; il cavaliere, al contrario, “molla le redini” stendendosi sul collo del cavallo. Ma quando il capitano di cavalleria Federico Caprilli iniziò a saltare in questo modo venne inizialmente preso per matto sia perché era un eccentrico ma soprattutto perché andava contro le convenzioni stabilite. Caprilli aveva intuito che il cavallo non solo era in grado di saltare ben oltre le aspettative del cavaliere, ma che il compito del cavaliere era assecondare i movimenti naturali del cavallo.
In tutti i processi di crescita – come avviene nel campo della strategia, della psicoterapia, del coaching o della consulenza e formazione aziendale – andrebbe ricercato questo passaggio, da movimenti forzati a movimenti naturali.
Il principio oggetto della mia attenzione non si riduce, quindi, alla semplice – e preziosa – indicazione operativa offerta dal buon senso del maniscalco; è un principio che deve essere padroneggiato anche dallo scienziato e dall’uomo di conoscenza, ed è per questo che Francis Bacon scriveva: Alla natura si comanda solo ubbidendole.
Salutiamoci con un compito ed una domanda: quali cambiamenti possiamo operare nelle nostre realtà assecondando e cavalcando la natura invece di ostacolarla con il frustino – ovverosia le frustrazioni – dei nostri insuccessi, errori e fallimenti?
Non importa quanto pazze appaiano le risposte che ci verranno in mente: esploriamole e proviamo a seguirle.
La nostra mente – la natura, la realtà – è come un cavallo, non va comandata, ma può essere cavalcata.
Questo articolo è basato su un’opera di Francesco Zurlo attualmente in fase di preparazione.