NELLA MENTE DEL KILLER

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Il termine Serial Killer (da serial, seriale; e to kill, uccidere) indica, letteralmente, l’uccisore, l’assassino, che uccide tre o più vittime in luoghi diversi e con un “periodo di intervallo emotivo”(cooling-off time) fra un omicidio e l’altro; in ciascun evento delittuoso, il soggetto può colpire a caso oppure scegliere accuratamente la vittima , spesso ritiene di essere invincibile e che non verrà mai catturato.

Il serial killer è un simbolo, è la personificazione di quanto c’è ancora di irrazionale in noi e nella nostra vita apparentemente logica e ordinata . Ma questo labirinto di comportamenti e disturbi che sfociano spesso in gesti violenti contro un altro essere umano da cosa sono spronati? Quali sono i fattori che danno vita ai bisogni?

mente del killer

Secondo Maslow, i bisogni si identificano con le motivazioni. La gerarchia tra le motivazioni procede da quelle fondamentali, originate da un bisogno primitivo, a quelle più elevate che esprimono il potenziale umano: l’uomo non può passare a uno stadio superiore di motivazione se non sono soddisfatte le motivazioni di livello inferiore.

Ne consegue che un individuo è motivato a soddisfare i bisogni di ordine inferiore solo fino al momento in cui esso non è soddisfatto, poiché un bisogno soddisfatto perde il suo valore motivazionale.

 

Una volta soddisfatti i bisogni primari,come l’ottenimento del cibo e un posto dove potersi riparare, si passa al bisogno di gratificazione emozionale e sessuale: l’amore e le amicizie sono i veicoli principali per raggiungere un certo grado di soddisfazione a questo livello e sono collegati al tema dell’affiliazione (need for affiliation), cioè alla voglia di appartenenza e al bisogno di interazione sociale . Il bisogno più elevato è quello dell’autostima,collegato al raggiungimento del potere (need fo power), che riflette il bisogno di imporsi all’attenzione altrui, di stabilire,mantenere o ristabilire il proprio prestigio,diventerà successivamente la causa principale degli omicidi. Si sostiene,infatti, che l’omicidio seriale scaturisca da questo bisogno insoddisfatto: il serial killer non ha un sufficiente livello di autostima, sente di essere un perdente e sfida così la società, mettendo in atto il comportamento omicidiario che gli consente di sentirsi “qualcuno”. L’insoddisfazione e la mancanza di identità precisa tornano prepotentemente a opprimere il soggetto, costringendolo a ripetere il comportamento, sempre nella speranza di affermare il proprio Sé.

Ma quali sono gli schemi mentali che determinano l’aspirazione ad uccidere?  Cosa avviene nella mente del killer?

Gli schemi mentali non sono statici,ma duttili e in continua trasformazione. Da un lato influenzano la valutazione delle esperienze e dall’altro ne sono influenzati. Il livello di aspirazione individuale risente di due fattori: la probabilità di successo o di fallimento nel perseguimento di un obiettivo e l’attrattività dell’obiettivo stesso, che è influenzato dalle caratteristiche personali dell’individuo. Gli obiettivi influenzano  i risultati attraverso quattro meccanismi motivazionali :

  • Directive: gli obiettivi indirizzano e focalizzano l’attenzione e lo sforzo delle persone verso attività pertinenti all’obiettivo e l’allontanano da attività irrilevanti rispetto all’obiettivo stesso.
  • Energizing: Gli obiettivi stimolano l’azione. In particolare un obiettivo elevato crea maggiore energia di quanto possa fare un obiettivo mediocre rispetto alle potenzialità dell’individuo.
  • Persistence: gli obiettivi influenzano i risultati stimolando la perseveranza e l’intensità dello sforzo verso il raggiungimento del compito.
  • Indirect: gli obiettivi influenzano indirettamente l’azione determinando la scoperta o l’uso di conoscenze e strategie pertinenti per lo svolgimento delle attività necessarie per il proseguimento.

 

Poiché la probabilità di successo o insuccesso è influenzata dall’autostima, di solito l’assassino è portato a fissare il suo livello di aspirazione a un livello anche più elevato rispetto a quello ragionevole, in modo da attribuire una valenza molto più positiva al successo e una valenza non molto negativa all’insuccesso. Ne consegue che l’azione è il risultato congiunto della motivazione e della cognizione, variabili che possono interagire variamente nel determinare i livelli di performance conseguiti.