Riflessioni su Il Libro Rosso di Jung

Riflessioni su “Il Libro Rosso” di Carl Gustav Jung

della dott.ssa Luisa Marinelli

(https://psicologaluisamarinelli.wordpress.com)

im 1

Come un antico manoscritto di verità e saggezza Il Libro Rosso di Jung tocca e lascia presagire, accompagna fino all’uscio del significato e lì abbandona, trasuda principi di immemorabile origine che solo Intuito e Terzo Occhio possono afferrare.

E se con spirito di erudito e scientifico raziocinio tento di comprenderlo divento come il cieco nell’oscurità che si muove a tentoni e striscia nel vuoto.

Il Libro Rosso è un portale che conduce all’anima.

Scritto tra il 1913 e il 1930 costituisce diario del lavoro che Jung operò quotidianamente su se stesso, spazio di scoperta e di sperimentazione dei cui risultati poi lo psicologo si avvalse per le sue teorie e tecniche. Grazie al Libro Rosso possiamo capire il substrato del pensiero junghiano.

In qualità di opera privata non fu mai pubblicata dallo scrittore ma solo dopo il 1961 a posteriori della sua morte. In qualità di scritto che contiene la summa delle verità junghiane ottenute dal ripiegamento non privo di sofferenza dell’autore su stesso è opera preziosa dalla copertina di pelle rossa, dalle grandi dimensioni (in spessore e larghezza), dai caratteri antichi, corredata di miniature amanuensi e di dipinti ermetici.

Mezzi che Jung utilizza per la scoperta dell’inconscio sono l’immaginazione attiva, l’elaborazione estetizzante e il dialogo tra loro sovrapponibili.

Nell’immaginazione attiva avviene uno sforzo nel tirar fuori, dare spazio, osservare le proprie fantasie seguito dal lasciare che esse prendano vita. Classico è l’immaginare un buco nel terreno e calarcisi all’interno: l’apertura porterà in luoghi di immaginazione, farà vivere eventi fuori dall’ordinario.

L’elaborazione estetizzante permette di tradurre in disegni per mezzo dell’arte. E’ portar fuori avvalendosi della tavolozza dei mille colori e delle misteriose vie del simbolo.

Nel dialogo Jung immagina una conversazione tra sé e l’Altro (la sua Anima, la sua guida, il suo Diavolo…). Attraverso la conversazione avviene un confronto, una reciproca conoscenza e conseguente avvicinamento tra le parti, e nell’avvicinamento ognuno perde una parte di sé che viene annessa all’altro.

Scopi primari di tale viaggio psichico sono la conciliazione dello Spirito del Tempo con lo Spirito del Profondo, riappropriazione nella coscienza delle immagini fantastiche con cui Jung intrattiene i suoi dialoghi, stimolazione dell’immaginazione mitopoietica.

Rivolgendosi al suo interno Jung scopre come le sue scelte fino a quel momento fossero state dettate dallo Spirito del Tempo presente in lui le cui caratteristiche sono interesse per la scienza, la socialità, l’umanità; accanto ad esso intravede tuttavia il suo opposto: lo Spirito del Profondo volto al contrario al regno dello spirituale, alla solitudine, a meditazioni religiose. Se prevale esclusivamente l’uno o l’altro   il primo rende superficiali e ciechi, il secondo fa blaterare in linguaggi incomprensibili e isola dal mondo umano. L’unione dei due genera il Senso Superiore laddove il Senso Superiore è dato dall’incontro tra Senso e Non-Senso.

Lo Spirito del Profondo in molti si è assopito. Nell’emergere rivela l’inutilità di fiumi di parole, la vacuità del ragionamento, la realtà di istanze psichiche, spinge verso di esse, volge a ciò che è piccolo ed umile, dissolve il grandioso.

Rivolgersi all’anima tuttavia implica un ritiro dall’esterno, un disinvestimento degli oggetti e delle persone sulle quali il desiderio normalmente aleggia e anche se si riesce in questo sforzo pochi resistono alla visione successiva.

Laddove l’anima viene coltivata fioriscono boschi e selve ma un’anima trascurata fugge via e lascia dietro di sé il deserto. A chi quindi riesce nel tentativo di rivolgersi a se stesso aspetta il saper resistere alla visione del proprio deserto e alla consapevolezza della fuga dell’anima.

im 2

Inoltre bisogna dar nutrimento ad essa per non renderla una belva affamata che addenta qualsiasi cosa le capiti e dalla quale a sua volta può venire ferita.

Sostenere la visione del deserto è prova ardua perché si annida di continuo dietro l’angolo la tentazione di ributtarsi nel mondo e dimenticare il doloroso.

Conduce all’anima la derisione di se stessi, l’ingenuità, l’uccisione dell’eroe, la concezione del male senza rimorso, il confronto con il Diavolo, il farsi Cristo, il farsi leone…

Se il Diavolo mi prende in giro e ride dei miei atteggiamenti, io rido più di lui, riconosco la parvenza di serietà che dò alle mie azioni imperfette, temporanee e inconsistenti le mie speculazioni e l’intelligenza che le governa. L’intelligenza è diretta dall’intenzione ma cosa ci è permesso di  volere quando si scopre che nemmeno molti dei nostri pensieri sono il nostro parto? Jung si accorge che    ostinarsi a considerarsi eroi e compiere imprese corrisponde ad un remare controcorrente. Esistono moti e istanze dentro di noi che agiscono aldilà e nonostante noi. All’opposto l’ingenuità che vive senza intenzione apre all’anima. Al povero di spirito questo è concesso.

Quando si sosta presso se stessi ci si rende conto del proprio Non-Potere. Il Non-Potere nasce dall’uccisione dell’eroe. E l’eroe è quando diciamo “Questo è meglio, questo è peggio”, “Senza questo non potrei vivere”, “Vorrei ottenere questo e quello”.

Quando si uccide l’eroe sorge il sole del profondo che illumina le tenebre. Ciò che era morto riprende vita, i serpenti che provengono da esse si aggrovigliano per oscurare il sole, si percepisce la forza del male assoluto.

Ma il male esiste ed è necessario per la completezza. Né volerlo, né rifuggirlo: si può solo osservarlo e accettarlo. Come per esempio il Diavolo è il nostro altro punto di vista con cui si può dialogare senza farsi sottomettere ma il tenerlo lontano lo trasforma in persecutore.

Prima o poi tutti dobbiamo scendere nel nostro inferno, seguendo le orme di Gesù che giacque per tre giorni immobile mentre la sua anima permaneva presso gli inferi. Il solo adorarlo corrisponde a tenerlo fuori facendoci gravitare intorno a lui. Adorare un Dio non ci risparmia dall’indispensabile viaggio nelle nostre tenebre. Perché dalle tenebre poi si risorge come testa radiante raggi solari, centro di emanazione di luce, Sole o Leone impavido e sorgente autogenerante di calore.