LA PSICOLOGIA NON GIOCA A SCACCHI

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In questo articolo è finalmente spiegata e risolta la differenza e la diatriba tra le due grandi macro-scuole di pensiero in Psicologia ed in particolare in Psicoterapia. Buona lettura.

Francesco M Zurlo, Psicologia Proibita.

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Un matematico ci regala questo ammonimento importante:

Una teoria ha solo un’alternativa fra essere giusta o sbagliata. Un modello ha una terza possibilità: può essere giusto, ma non pertinente. 

Purtroppo, invece, la Psicologia (permettetemi di entificarla a scopo esplicativo) ha passato l’ultimo secolo nella più significativa “faida” interna che la caratterizza, e che permette di distinguere due diverse posizioni dominanti, che dibattono dicendo di se stesse di essere giuste, senza accorgersi di come la loro diatriba non sia pertinente l’intervento psicoterapico.

Si tratta delle due grandi scuole di pensiero in ambito psicologico, che si trovano in eterno conflitto tra loro.

  • Una scuola, quella in genere definita “squisitamente psicologica”, vede l’essere umano come unico e irripetibile ed in base a questa condivisibile affermazione rifiuta qualsiasi categorizzazione, a volte perdendosi nel più sfrontato romanticismo (per cui l’uomo è buono, talentuoso, capace, intelligente, e tante altre qualità che tutti, secondo questa posizione, possiederebbero, ma non lo sanno finché non vanno dallo Psicologo umanista-esistenzialista. Qui qualcuno direbbe: se questi hanno ragione io debbo essere veramente sfortunato, perché sono circondato da un sacco di eccezioni);
  • L’altra scuola sostiene l’importanza di usare delle categorie della più gretta nosologia, cioè dividere e incasellare le persone, ritenendo dunque la loro unicità un necessario sacrificio e a volte perdendosi in deliri classificatori.

 

IL MASSIMO RISULTATO CON IL MINIMO SFORZO

CON L’AIUTO DI UN TERAPEUTA ESPERTO PUOI SUPERARE I TUOI PROBLEMI NELL’ARCO TALVOLTA DI POCHE SEDUTE

DIECI SEDUTE PER POTER CAMBIARE LA TUA VITA

La prima scuola è quella più umanistico-esistenziale, che in genere parte da premesse sull’uomo estremamente gratuite (ho notato che molti psicologi dimenticano che, ad esempio, il grande Carl Rogers era un prete. Esaminando alcune trascrizioni delle sue sedute, mi sembra che tale sia rimasto). La seconda scuola è quella meglio rappresentata da tutti quelli che usano il DSM, cioè dalla maggior parte degli psicoterapeuti di tutto il mondo. In questo articolo, che si basa sul mio lavoro quotidiano e su precedenti pubblicazioni relative al mio modo di lavorare in particolare in ambito clinico, mi permetto di dimostrare come entrambe queste posizioni siano profondamente sbagliate.

Nessuno infatti ha pensato, o efficacemente dimostrato, che la vexata quaestio che divide queste due scuole sia profondamente errata nella sua stessa struttura, configurando entrambe le posizioni come figlie dello stesso identico errore: due lati di una stessa medaglia che nessuno, prima di noi, aveva osato cambiare.

E le due scuole sono due figure, che di fronte a un tavolo, in una stanza ombrosa, continuano a girare la monetina, e girarla e rigirarla, senza accorgersi che tutti i risultati sono una perdita per i loro pazienti.

È la medaglia che è sbagliata, non il lato.

La psicologia si è cioè rinchiusa in una illusione di alternative negativa, dimostrando come “realtà inventate che producono effetti concreti” valga anche quando tutto, invece di volgere alla soluzione dei problemi, volge in rovina.

Trattandosi di un tema sul quale sono state scritte milioni e milioni di pagine, ci si aspetterebbe che per confutarlo ci dovrebbero volere parecchie centinaia di pagine. Per fortuna non è necessario, poiché ad un occhio attento risulterà immediatamente intellegibile la grossolana ottusità del tunnel cieco nel quale la storia della psicologia è pervenuta.

Quando io lavoro come terapeuta, sia applicando il modello strategico inizialmente sviluppato da Jay Haley e dalla Scuola di Alto ed in Italia sviluppato dai miei maestri Watzlawick e Nardone sia applicando il modello da me sviluppato a partire dai precursori, e che chiamo PSICOLUOGIA debbo cercare di essere replicabile.

In questo modo una persona che chiede il mio aiuto sa che tutte le mie esperienze di successo mi aiuteranno ad aiutarlo meglio. Se non ci fosse replicabilità non ci sarebbe la logica che la sostiene, quindi non ci sarebbe costruzione dell’esperienza, quindi non ci sarebbe reale competenza. Pazienti e terapeuti andrebbero allo sbaraglio, e forse questo talvolta succede.

Proprio la replicabilità risponde – se correttamente esaminata – alla vexata questio qui discussa. Essa, infatti, implica la possibilità di adattare logiche e strategie di soluzione vincenti su classi di problemi che presentano le stesse caratteristiche, ma con un costante adattamento al contesto specifico: qui è la differenza tra il livello logico-ricorsivo ed il livello operativo – poiché se ad una classe di problemi che presenta la stessa struttura logica di persistenza (ricorsività) ben si adatta una classe di soluzioni che presenti la stessa complementare struttura logica della soluzione, le operazioni tattiche di intervento strictu sensu, ed in particolare la comunicazione, saranno diverse, come diverse sono le persone cui esse dovranno adattarsi e sulle quali, anzi, costituirsi (flessibilità).

Questa è la danza tra permanenza e cambiamento, la dinamica tra ricorsività, (pertinenza), flessibilità. Questa è la via della Strategia.

Data la densità di questo concetto, forse un po’ ostico per come lo ho espresso , permettetemi di fare un semplice esempio, che chiarisca tutto quanto.

Se è possibile strutturare un modello di intervento specifico con specifiche soluzioni per specifici problemi, come voleva il padre della terapia strategica Jay Haley e come Giorgio Nardone ha interpretato per certi versi troppo rigidamente, dovrò poi adattarlo a quel paziente che ha quel particolare problema.

È come nel gioco degli scacchi. Io posso studiare certe aperture e rendere questa conoscenza sistematica. Posso poi scegliere di utilizzare alcune aperture: posso usare ad esempio dei gambetti (cioè delle aperture che implicano il sacrificio di alcuni pezzi per ricavarne un vantaggio dinamico – utile a tendere un agguato).

Se voglio sperare di vincere, però, dovrò adattarmi al contesto del gioco (la dinamica dei pezzi sulla scacchiera) ed all’altro giocatore (cioè alle mie inferenze su ciò che egli sta facendo ed alle inferenze sulle inferenze e così via).

Un giocatore che conosce bene il gioco rischia però si irrigidirsi sulle regole, diventando troppo rigido e schematico, come succede alle scuole che dovendo difendere il proprio modello e seguire le regole del marketing perdono la loro flessibilità divenendo, pur partendo dalle migliori premesse, ideologiche e autoreferenziali.

Chi conosce anche vagamente il gioco degli scacchi, sa di cosa stiamo parlando. Ma evidentemente la storia della Psicologia non gioca a scacchi.

In ogni caso, l’obiettivo degli scacchi non è conquistare pezzi o posizioni, cose comunque utili. L’obiettivo è lo scacco matto (c’è l’eccezione dello stallo o del vecchio Rex spoliatus – ma non perdiamoci), cioè costringere l’altro alla resa, lasciarlo senza possibilità di sblocco: vincere.

L’analogia è abbastanza ben strutturata in quanto il modello strategico della terapia, proprio come il matto negli scacchi, rende il cambiamento inevitabile.

Questo naturalmente è vero se il modello strategico viene utilizzato con maestria, poichè è questo ciò che fa la reale differenza, anche se i capiscuola dicono invece che sia il modello a fare la differenza, dal momento che debbono vendere la formazione sul modello di turno e che sarebbe doloroso accettare che tutto dipende dalla capacità del terapeuta e che nel caso del modello strategico le qualità personali che rendono possibile il suo miglior funzionamento e la sua massima resa sono qualità poco comuni se non rare.

 

 

Francesco M Zurlo seminar
Prof. Zurlo, allievo di Giorgio Nardone, specialista in Terapia Strategica, padre della Nuova Psicologia. Dirige gli studi di Psicologia e Psicoterapia ZURLOCONSULTING, NUOVA PSICOLOGIA di MILANO, ROMA E CROTONE

Una mossa dunque, è giusta se funziona, cioè se permette – preferibilmente in modo elegante cioè efficace ed efficiente – di giungere alla vittoria.  Nel caso della Terapia chi vince è il paziente, e chi perde è il disturbo o problema presentato. Il terapeuta è colui che permette tale vittoria, restituendone infine il merito al paziente.

Questa, che ai più poetici puristi può sembrare una volgarizzazione è in realtà una immagine squisitamente dinamica, complessa e relativa di ciò che avviene in terapia, poiché permette di suggellare quell’amicizia alchemica, tra rigore e flessibilità, che eleva ogni conoscenza e tecnologia.  Forse il romantico potrebbe dunque domandarsi come mai Wittgenstein citi gli scacchi circa 200 volte nei suoi scritti, utilizzandoli come modello per studiare sistemi altamente complessi (come la matematica o ancor meglio il linguaggio).

Ad esempio: è chiaro che l’importanza di un pedone è un’importanza relativa, poiché nella dovute circostanze esso assume un’importanza decisiva. Può bloccare una regina, dare scacco al Re; può inoltre divenire egli stesso una regina – o come dice un vecchio detto: la formica può divorare l’elefante. Ed anche un bel cavallo può essere utilmente sacrificato, naturalmente alla vittoria.

Quindi entrambe le grandi scuole della Psicologia hanno ignorato la logica, che è ciò che permette di passare dalla teoria alla pratica: da questa analisi essi appaiono come dei giocatori di scacchi veramente scarsi. Forse possiamo in tutta franchezza riconoscere come questa affermazione sia come un frutto che non cada lontano dall’albero della verità.

I primi pensano di poter migliorare senza studiare le aperture (vi assicuro che chiunque studi bene le aperture vincerà con elevatissima probabilità contro una persona più intelligente e analitica che non abbia studiato. Chi dovesse non credermi può semplicemente provare, oppure compiere una ricerca scientifica. Il giocatore anche amatoriale non ne avrà bisogno); I secondi credono invece che inventarsi una teoria su come il giocatore debba giocare, secondo mosse prestabilite, basti a vincere, essi cioè giocano ciecamente, senza adattarsi alla dinamica dei pezzi sulla scacchiera. Qualsiasi mediocre giocatore potrà quindi batterli.

Purtroppo però i pazienti non si rendono conto di tutto questo: chiedono aiuto e finiscono con il perdere partite in cui ci si gioca anche la vita, poiché è inevitabile che l’errore qui discusso si concretizzi in errori nella pratica terapica.

Ma proprio perché alla fine perde sempre il paziente, e non il terapeuta, l’inganno sopravvive e la guerra fredda, dove non la lotta, tra le due posizioni qui discusse, continua nella cecità del buio tunnel, lontano dal mondo.

La Terapia Breve Strategica, sia quella storica sia quella Italiana quindi con tutti i suoi rappresentanti, intanto, opera al di fuori, alla luce del sole, dentro il mondo, mettendosi al servizio delle persone e scolpendo su quel tunnel il monito ippocratico inudito che ho già citato ma ci tengo a ripeterlo, ancora:

la salute del malato sia la legge suprema

Qui finisce la mia argomentazione, che mi sembra più che sufficiente, poiché se – come noi al di là delle differenze personali e di pensiero dimostriamo quotidianamente – problemi protratti anche per numerosi anni non necessitano di interventi che si protraggano ugualmente a lungo, così un problema teorico che si protrae da un secolo non ha bisogno di una secolare argomentazione, ma di una argomentazione che funzioni bene e chiaramente. Spero di averla offerta.

 

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO e APPROFONDIMENTO

F. M ZURLO, Psycholùogy: Psicologia – Comunicazione – Cambiamento, in Bona Miniero (CUR.), Pediatria Pratica, Minerva Pediatrica, 9 ed. Torino 2013, 486-505.

F. M ZURLO, Psycholùogy, Abstract Published in Atti del 4 convegno SIMEUP – 9 Congresso nazionale Medico-Infermieristico 2013,  38-41. Tesi di specializzazione quadriennale in Psicoterapia Breve Strategica

www.terapiabrevestrategica.com

www.zurloconsulting.com

 

 

zurlo consulting; Psicoterapia
Prof. Francesco ‘M’ Zurlo (nel blog: la Z) – direttore dello Studio di Psicoterapia Zurlo Consulting