Dott.ssa Isabella Inzuino & Dott. Antonino La Tona
I primi resoconti su questa illusione risalgono alla prima metà del secolo scorso, quando Tastevin notò che un osservatore poteva in alcuni casi confondersi e giudicare come proprio un dito finto che spuntava da sotto un panno, quando il suo vero dito era nascosto a pochi centimetri di distanza.
L’interesse per questo tipo di illusione si è però definitivamente affermato quando M. Botvinick e J. Cohen pubblicarono su Nature una descrizione breve ma sistematica di questa illusione. Gli autori chiesero a un gruppo di soggetti di sedersi a un tavolo, appoggiando la loro mano sinistra sul piano e dietro a uno schermo verticale opaco che ne impediva la vista. Visibile di fronte al soggetto era invece posta una copia in gomma a dimensione reale di una mano sinistra con relativo avambraccio, e la consegna al soggetto era semplicemente quella di mantenere lo sguardo su questo arto finto.
Nel frattempo lo sperimentatore stimolava con due pennelli la mano sinistra del soggetto e l’arto finto, cercando di sincronizzare quanto più possibile l’istante delle pennellate sulle due mani.Dopo 10 minuti di stimolazione i partecipanti riportavano la curiosa sensazione di percepire il tocco del pennello nella posizione in cui vedevano stimolata la mano finta. Inoltre, se venivano invitati a indicare la posizione della loro mano sinistra puntando sotto il tavolo con l’indice della mano destra, i partecipanti tendevano sistematicamente a indicare una posizione della loro vera mano sinistra spostata verso la posizione dell’arto finto, come se il loro senso di posizione per la mano sinistra fosse stato in qualche misura ricalibrato dalla ripetuta esposizione all’arto finto.
Infine, la maggior parte dei partecipanti erano propensi a credere che la mano artificiale potesse effettivamente essere la loro mano.La sensazione di essere i proprietari del proprio corpo sembra essere assai poco influenzata dalle conoscenze dell’osservatore.
L’ESPERIMENTO:
Questo risulta evidente dal fatto che tutti i partecipanti allo studio di Botvinick e Cohen avevano ben chiaro, da un punto di vista cognitivo, che l’arto finto non era altro che una copia in gomma di un arto e che certamente non apparteneva al loro corpo. Tuttavia, alla domanda “Avevi la sensazione che l’arto di gomma fosse la tua mano?” la maggior parte di essi dava una risposta più che affermativa.Se ci limitassimo a questa interpretazione del fenomeno basata sulla rilevazione di corrispondenze fra eventi sensoriali (un tocco e un evento visivo temporalmente sincrono), le implicazioni dell’illusione dell’arto finto sarebbero sorprendenti.
In realtà, per quanto sia possibile generare l’illusione dell’arto finto con versioni ben poco realistiche di una mano (guanti da cucina riempiti di cotone, arti carnevaleschi o videoproiezioni bidimensionali, solo per fare alcuni esempi), l’illusione svanisce quando la mano finta viene ruotata di 90 gradi rispetto all’orientamento della mano del soggetto, quando viene eccessivamente rimpicciolita, quando viene sostituita con una mano destra mentre la mano nascosta è la sinistra o quando, per riprendere l’esempio precedente, al posto della mano finta viene sistemato un parallelepipedo di legno.
Questi ulteriori risultati mettono ben in chiaro che l’inganno della visione su ciò che può appartenere al nostro corpo è in realtà soggetto a vincoli, che presumibilmente hanno a che fare con ciò che la mente è disposta ad accettare come immagine plausibile del corpo. In altre parole, la costruzione multisensoriale della nostra rappresentazione del corpo sulla base delle sole informazioni in ingresso è limitata dalle rappresentazioni del corpo che la nostra mente possiede già.
RIFERIMENTI:
Bruno N, Pavani F, Zampini M (2010) La percezione multisensoriale, Bologna: Il Mulino, pp. 43-46.