Di David Lazzari
Un circolo vizioso poco considerato: le persone con malessere psicologico si sono ammalate più facilmente di Covid (sino ad 8 volte) per l’impatto che la psiche ha sul sistema immunitario
Scrive Paolo Giordano parlando della pandemia che siamo in uno stato post-traumatico, un trauma esteso e profondo. Se guardiamo le ricerche sulla condizione psicologica i numeri sono impressionanti: la sintesi di 66 ricerche ci consegna una persona su tre con profondo disagio psichico, percentuale che sale al 41% tra i pazienti Covid. Una persona su due in quarantena ha sviluppato problemi di ansia e depressione. Tra gli under 18 un soggetto su tre soffre di ansia e depressione (sintesi di 23 ricerche). Il Covid, come situazione e come malattia, ha fatto impennare il disagio psicologico. Con un circolo vizioso poco considerato: le persone con malessere psicologico si sono ammalate più facilmente di Covid (sino ad 8 volte) per l’impatto che la psiche ha sul sistema immunitario.
Questi numeri non sono bolle di sapone. Da oltre 30 anni si studiano le conseguenze a medio e lungo termine dei traumi legati ad emergenze sociali e ambientali e si è visto che le conseguenze negative, sulla salute psichica e fisica e sulla qualità della vita durano per anni. Lo abbiamo visto in Italia con i terremoti.
D’altra parte sono molti anni che si registra un costante aumento non solo dei disturbi psichici più gravi ma soprattutto, come vera e propria epidemia, del malessere psicologico. Al punto che nel 2019 gli economisti del World Economic Forum avevano messo il disagio psicologico tra i problemi dell’umanità da affrontare. Una indagine su 5 mila adolescenti (Emilia Romagna) ci rivela che sei su dieci hanno paura del futuro e uno su due manifesta ansia e stress. Possiamo andare avanti a lungo a fare citazioni: questi sono i dati.
Che rivelano una condizione di malessere e stress psicologico sempre più diffuso e strutturale nella società, che colpisce in generale soprattutto i Paesi a più alto reddito, e oggi in particolare l’Italia per il particolare impatto che la pandemia ha avuto da noi. E che si fa sentire soprattutto tra i giovani. Un quadro che non può essere ricondotto a schemi dicotomici “salute/malattia” ma che bene si può leggere con la visione della salute propria della Psicologia: la salute deriva dall’equilibrio che la persona costruisce tra aspetti negativi e positivi della vita, tra malessere e benessere.
E’ evidente che questa situazione richiede nuovi schemi per essere letta e affrontata. La nostra società non produce solo sedentarietà nel corpo ma anche nella psiche, alimenta fragilità psicologiche, mentre ci chiede capacità adattive sempre più sofisticate per orientarci in questo mondo complesso.
Quando parliamo di psiche stiamo parlando di tutto ciò che, al di là del corpo, ci rende persone: il pensiero, la consapevolezza di noi stessi e del mondo, la capacità di analizzare e risolvere i problemi, di capire e gestire le emozioni, di vivere i sentimenti, di costruire le relazioni, di capire gli altri e farci capire, di amare e farci amare, di gestire lo stress, accettare le sfide e le sconfitte, insomma di realizzare la nostra vita, di costruire equilibri esistenziali validi e rinegoziarli nel corso della vita.
Come si vede la psiche è fondamentale, sia per il singolo individuo che per la tenuta sociale. E questa fragilità della psiche è un problema strutturale che richiede risposte strutturali. Non solo terapeutiche, stabilendo che le cure psicologiche non sono un lusso per pochi ma un diritto per tutti, ma soprattutto creando una rete di prevenzione e promozione del benessere psicologico, cioè di potenziamento delle capacità e risorse psicologiche adattive per la vita. Se il Paese non capisce che non basta migliorare l’economia per migliorare la psiche siamo nei guai: sono proprio le società più ricche a stare peggio. Siamo in una Paese che non da nessun aiuto psicologico, non solo di sostegno ma neanche di prevenzione e promozione delle risorse individuali, alle mamme in gravidanza o nei primi anni, alle coppie in difficoltà, ai genitori nel dialogo con i figli, agli studenti, a chi affronta una malattia grave o deve gestire una malattia cronica, a chi vive un lutto, ad un anziano solo, a chi deve riciclarsi nel lavoro, a chi è schiacciato dallo stress o bruciato dal burnout….l’elenco potrebbe continuare a lungo. Il punto è uno: in tutti gli indirizzi ai quali un cittadino, minore o adulto, può bussare – medico di famiglia, asl, scuola, servizi sociali, ospedale, centri per il lavoro, ecc. – è un miracolo se troverà un ascolto, un aiuto, un empowerment psicologico.
L’Italia non ha servizi psicologici tarati sulla prevenzione e promozione, oltre che sul sostegno e terapia, a livello individuale e collettivo. In grado di intercettare e agire sui grandi numeri, quelli che servono. Forse è ora di guardare ai problemi in modo nuovo e di attrezzarci: non è solo un tema di salute, lo sviluppo economico e del capitale umano, la dignità delle persone, la convivenza civile, i diritti sociali, passano anche da qui.