L’essere umano è un animale sociale, questo è un dato di fatto assodato. Ma come mai è così difficile essere in grado di instaurare e mantenere relazioni sociali? Quali sono le difficoltà che rendono la socializzazione così difficile e talvolta dolorosa?
Ci raduniamo in società, piccole o grandi che siano, collaboriamo e cooperiamo al raggiungimento di obiettivi comuni, nel corso della storia ci siamo organizzati secondo gerarchie, proprio come fanno i lupi nel proprio branco.
Rispetto ai lupi abbiamo però il vantaggio della comunicazione tramite il linguaggio, vantaggio non da poco. Ma, come ogni cosa, esiste l’altro lato della medaglia: proprio la comunicazione (nei termini di linguaggio) che noi abbiamo in più rispetto ad altri mammiferi, a volte ci rende le cose parecchio più complesse.
Le basi della comunicazione e, quindi della relazione, sono tre, di cui almeno due individui: uno che emette (un messaggio, un concetto, una richiesta) e uno che riceve (il messaggio, il concetto, la richiesta); il terzo è il canale comunicativo, ad esempio il linguaggio.
Fin qui le cose appaiono molto semplici, tuttavia questo apparentemente banale passaggio di comunicazione, di informazione, diviene crocevia di incomprensioni, litigi e contrasti che rendono la nostra socialità un affare tutt’altro che semplice.
Le difficoltà stanno in ognuno dei passaggi menzionati: sia in chi emette, sia in chi riceve, sia nel canale che viene utilizzato per la trasmissione.
Ecco quindi che relazionarsi può diventare impresa ardua se il concetto che vogliamo esprimere non è – in primis – chiaro a noi, se non viene compreso dal nostro interlocutore, se il canale (lingua) che scegliamo, non è condivisa: tutto ciò si complica se intervengono più di una di queste evenienze.
Ciò nonostante l’essere umano ha bisogno di socialità e dei contatti con i suoi simili. A volte per il raggiungimento di un obiettivo (personale o condiviso), altre volte come “feedback” per sé stesso/a. L’opinione altrui, i giudizi, i commenti, sono aspetti della socialità che ci condizionano continuamente e, quanto più risulta per noi importante l’opinione degli altri, tanto più a rischio è la nostra integrità.
Esistono infatti fenomeni (come la “desiderabilità sociale”) che talvolta ci portano a comportarci secondo modalità che non sono propriamente nostre, in un certo senso per compiacere e – quindi – essere notati/ accettati. Tali modalità sono non solamente alquanto “pericolose” per la nostra identità, dato che possono fluttuare a seconda dell’interlocutore (per una persona posso essere troppo loquace, per un’altra troppo espansivo e adeguarmi eccessivamente all’interlocutore mette per certi versi in secondo piano la mia personalità), ma evidenziano spesso una scarsa strutturazione del proprio essere, a priori.
Infatti, nel momento in cui la mia personalità o identità è priva di una solida struttura, tenderò maggiormente a quel fenomeno di “adattamento” all’interlocutore, secondo il motto “sono come tu mi vuoi”. Mentre tale atteggiamento può risultare efficace in alcuni ambiti – ad esempio sul lavoro – per ciò che concerne le relazioni interpersonali più strette e pertinenti alla sfera privata (come nelle relazioni), ciò può avere notevoli svantaggi.
Un’eccessiva disponibilità nei confronti degli altri per non creare disappunto, il sacrificio “strumentale” (e quindi non realmente gratuito) sono atteggiamenti che spesso restituiscono risultati inattesi e, talvolta dolorosi, andando a minare ulteriormente la già precaria identità di sé.
Pertanto, essendo la nostra indole quella di ricercare il contatto sociale, di vivere con altri nostri simili e di condividere con loro, sarà di fondamentale importante “curare” i tre aspetti della comunicazione e quindi della socialità: noi stessi, l’interlocutore e il canale di comunicazione; da soli o con l’aiuto di qualche specialista.
A cura del
Dottor Gianluca Franciosi
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