“Pigmalione” è una commedia di George Bernard Shaw in cui si narra di un professore che per scommessa cerca di trasformare un’umile fioraia, Eliza, in una raffinata gentildonna. Uno dei temi principali di questa pièce è l’aspettativa: infatti in un’occasione mondana, la donna viene scambiata per una gran dama e per questo motivo comincia ad essere trattata dagli altri come tale.
Da quel momento, Eliza comincia a pensare a se stessa come elegante, di classe e ricercata, dimostrando come la differenza tra una fioraria ed una gentildonna non stia tanto nel modo in cui si comporta, ma nel modo in cui gli altri la trattano.
L’effetto Pigmalione
Negli anni ’60, in California, Robert Rosenthal e Leonore Jacobson condussero un esperimento nella scuola primaria di Oak School, per valutare il possibile effetto Pigmalione in ambito educativo. La loro ipotesi era che l’atteggiamento degli insegnanti nei confronti degli alunni e le aspettative che nutrivano nei loro confronti poteva avere degli effetti sulla performance scolastica.
Per questo convocarono gli insegnanti di una classe e comunicarono i nomi di alcuni studenti e studentesse che, in base ai punteggi raccolti da un test di intelligenza, avevano maggiori possibilità di sviluppo intellettuale. “Da questi allievi ci si può aspettare un forte miglioramento” furono le esatte parole comunicate al corpo docenti. In realtà, i nomi degli alunni furono estratti in modo totalmente casuale.
Ciò che ti aspetti è ciò che otterrai
A pochi mesi dall’inizio dell’esperimento, le insegnanti riportavano già che i bambini e le bambine indicati dai ricercatori presentavano performance migliori rispetto al resto della classe. Questi miglioramenti, tutt’altro che oggettivi, erano negli occhi delle insegnanti, che riversavano sui prescelti maggiori attenzioni, presentavano più stimoli ed erano in generale più propense a promuoverne il lavoro. A fine anno, il gruppo di allievi scelti a caso, presentava effettivamente un miglioramento medio dei punteggi scolastici maggiore rispetto al resto della classe.
In che modo le nostre aspettative diventano realtà?
Rosenthal e Jacobson hanno avuto la possibilità di assistere ad una vera e propria “profezia che si auto-avvera” in quanto le previsioni che i due ricercatori avevano fatto nei confronti dei bambini estratti hanno modificato i comportamenti degli insegnanti finendo per confermare le loro aspettative. La realtà si è così adeguata all’immaginazione.
In successivi studi, si è potuto constatare come le aspettative degli insegnanti sono comunicate ai bambini in modo inconsapevole e soprattutto attraverso il piano del non-verbale. La disposizione corporea, le espressioni, la vicinanza o la distanza personale sono tutti elementi che contribuiscono a far sentire l’altra persona stimolata e accettata, oltre che a far percepire la fiducia nelle risorse e la consapevolezza degli strumenti a disposizione. Quando dobbiamo fare un compito e mettere alla prova le nostre abilità, può essere molto diverso vedere di fronte a noi una figura sorridente e rassicurante, o una che ci trasmette che non siamo all’altezza.
Lo studio sull’effetto Pigmalione è stato condotto in un periodo in cui il contesto scolastico americano era simile a quello italiano odierno: le classi erano composte da un mix di persone provenienti da ceti sociali medio-borghesi, insieme a figli di migranti, persone seguite dai servizi sociali o già etichettate con certificati medici sulle capacità intellettive. Per questo motivo occorre domandarci se le nostre aspettative nei confronti di alcune persone non finiscano per influenzare i loro comportamenti.
Nel dettaglio, le modalità attraverso cui insegnanti, genitori, educatori e superiori possono trasformare le proprie aspettative in realtà riguardano:
#1 l’atmosfera socio-emotiva
Gli studenti “speciali” possono infatti godere di un’atmosfera più calda e rassicurante, mentre chi è visto come maggiormente problematico può più facilmente percepire freddezza e la sensazione che non può dare quanto gli altri.
#2 la possibilità di fruire di feedback
Chi è visto come maggiormente dotato riceve solitamente maggiori feedback positivi sul lavoro svolto. Chi invece è visto in modo negativo solitamente riceverà maggiori feedback negativi sul lavoro e sull’impegno, rimarcando la differenza con gli altri e compromettendo il senso di autoefficacia.
#3 la quantità e la qualità degli insegnamenti
Solitamente si tende a valutare la profondità degli insegnamenti in base alla capacità dell’altro di poter comprendere i contenuti proposti. Tuttavia, nel momento in cui gli insegnanti pensano che si stanno relazionando con persone con particolari doti, la quantità e la qualità degli insegnamenti cresce. Diversamente, verso le persone considerate meno dotate, si tende a limitare la quantità e la profondità di informazioni perché si presume che non siano capaci di comprenderle, finendo implicitamente col fornire un insegnamento più ridotto.
#4 l’opportunità di rispondere e di fare domande
Quando pensiamo che una persona sia particolarmente dotata siamo automaticamente portati a considerare maggiormente le sue opinioni, i suoi punti di vista, i suoi interrogativi. Per questo, in un contesto di classe, gli insegnanti possono privilegiare gli studenti considerati più brillanti nel prendere parola in classe davanti agli altri, e nell’aprire il dibattito su argomenti portati da loro. Inoltre, possono indicare queste persone agli altri come esempio. Chi invece è considerato meno capace può finire lentamente ai margini della classe, godendo di minori attenzioni da parte degli educatori e sentendosi così meno seguito e meno stimolato.
per approfondimenti: L’effetto Pigmalione