“Irréversible” è un film del 2002 di Gaspar Noé. Sono sempre stato colpito dal fatto che nel corso della lunga scena in cui un uomo violenta e poi uccide Monica Bellucci in un sottopassaggio, a un certo punto appare sullo sfondo un passante che vede la scena, rimane qualche secondo esitante sul da farsi, e poi se ne va.
Sin dal primo momento ho pensato: che cosa avrei fatto nella stessa situazione?
Il caso Kitty Genovese
Catherine Genovese, conosciuta da tutti come Kitty, era una ventottenne abitante del Queens, pugnalata e uccisa nel 1964 nel corso di tre diversi assalti durati complessivamente più di mezz’ora.
Il caso è diventato famoso circa 10 giorni dopo il delitto, in seguito ad un articolo del New York Times in cui si scriveva che il delitto si era compiuto sotto gli occhi di 38 testimoni senza che nessuno intervenisse o chiamasse la polizia.
Sembra infatti che l’assalitore sorprese Kitty alle 3:15 del mattino, nel momento in cui la donna rientrava a casa dal lavoro, e la pugnalò una prima volta. Le urla della donna richiamarono l’attenzione di alcuni vicini che accesero le luci e cominciarono a parlare tra loro, inducendo così l’assalitore a scappare. Ma visto che non accadde nulla, l’uomo tornò altre due volte per pugnalare nuovamente e infine uccidere Kitty intorno alle 3:50.
In seguito alla pubblicazione dell’articolo, un’onda di indignazione percorse l’America e i cittadini di New York furono dipinti come persone senza cuore e senza cervello, capaci di lasciar morire una ragazza per strada, agonizzante per più di mezz’ora, senza muovere un dito e senza chiamare aiuto.
In seguito a questo fatto, due psicologi, Bibb Latané e John Darley, si impegnarono per comprendere questo avvenimento e individuarono due fondamentali processi psicologici: ignoranza collettiva e diffusione della responsabilità.
Ignoranza collettiva
Una situazione di emergenza per definizione esce dagli schemi di azione appresi nel corso della socializzazione e pone un individuo di fronte ad un fondamentale dilemma: che fare?
In quel momento ci sentiamo come se ci mancassero le informazioni per decifrare ciò che sta accadendo, così, se siamo in gruppo, guardiamo gli altri per capire cosa si debba fare. Ma mentre noi guardiamo loro, loro, nella stessa nostra situazione, guardano noi. E mentre noi tutti ci guardiamo rispettivamente, il tempo passa e nessuno agisce.
Diffusione della responsabilità
Un altro pensiero che attraversa le menti degli astanti può essere “siamo in tanti, qualcuno farà qualcosa”. Tutti pensano così e intanto nessuno fa niente. La responsabilità individuale è così distribuita tra le altre persone e ognuno si sente moralmente sgravato dall’impegno di dover fare qualcosa.
Da una prospettiva egocentrica ad una sociocentrica
Un articolo del New York Post del 2014 ha tentato di sfatare il mito dell’omicidio di Kitty Genovese ridimensionando l’interpretazione degli avvenimenti. Si affermava che il caso fu in sostanza montato ad hoc dai giornalisti del Times perché avrebbe avuto un’enorme portata sensazionalistica.
“Amico, questa storia del Queens è degna di un libro. 38 testimoni” disse il commissario di polizia all’editore del Times “Faccio questo lavoro da tantissimo tempo ma questa le batte tutte”
Sembra infatti che in realtà i testimoni abbiano invano provato a contattare la polizia, qualcuno ha in realtà cercato di fare qualcosa, ma la maggior parte di loro era pietrificata dalla paura e allo stesso tempo incerta su cosa fare, tanto che in molti cercarono di mettersi in contatto tra loro per prendere una decisione.
In ogni caso, sia per paura, sia per ignoranza, nessuno fu in grado di fermare il prolungato assassinio. Molti di loro, interrogati dalla polizia e dai giornalisti, affermarono che non volevano essere coinvolti.
“Fatti gli affari tuoi” è una frase che si sente spesso quando si ha a che fare con una situazione di emergenza. Molti di noi sono allevati in funzione di una prospettiva egocentrica per cui prima di tutto occorre evitare ripercussioni negative per se stessi. Tuttavia io credo che tale visione non sia figlia di un menefreghismo sociale assoluto. I testimoni del delitto erano veramente nel panico. E in una situazione di panico si ritorna ad una funzionalità base in cui la prima cosa cui si pensa è la propria salvezza.
Per questo motivo secondo Philip Zimbardo, per combattere l’effetto spettatore possiamo essere educati sin dalla nascita ad assumere una posizione sociocentrica, ed essere pronti a gestire le situazioni di emergenza in modo attivo.
Per farlo occorre essere anticonformisti, e sappiamo quanto può essere difficile, ovvero agire mentre gli altri rimangono spettatori passivi, e fare quello che nessuno è (ancora) capace di fare.