Claudio sta attraversando un periodo di forte stress emotivo. Una sera, mentre è seduto sul divano a guardare la propria serie TV preferita, avverte una sensazione nel petto mai provata prima. Ha la sensazione che il suo cuore abbia saltato un battito, che ci sia stato come un “vuoto” seguito da alcuni battiti più forti. Lì per lì si allarma per un attimo, pensa che possa essere qualcosa di grave. Per un attimo gli balena persino l’idea che il suo cuore abbia qualche problema. Subito dopo però ipotizza che la sua interpretazione possa essere eccessiva, si mette quindi a “osservare” il proprio corpo e nota come il suo cuore abbia in realtà continuato a battere normalmente. Propende dunque definitivamente per l’ipotesi che non sia stato nulla di grave e torna a concentrarsi sul suo telefilm. Nei giorni successivi sperimenterà qualche altra volta quella strana sensazione, ma dopo alcuni giorni il fenomeno si ridurrà fino a scomparire, non lasciando alcuna traccia nella vita di Claudio.
Stefano sta attraversando un periodo di forte stress emotivo: una sera, mentre è seduto sul divano, avverte la stessa sensazione avvertita da Claudio. Come Claudio si allarma, pensa che possa essere qualcosa di grave. Anche lui pensa che il suo cuore abbia qualche problema, e inizia a rimuginare su questa idea. Senza rendersene conto, soffermandosi su questa interpretazione aumenta la sua paura, e la paura attiva il suo corpo aumentando il battito cardiaco, un evento che Stefano interpreta immediatamente come una conferma della gravità della situazione. In un istante, l’unico pensiero nella mente di Stefano è: “Sto per avere un infarto”. Questa ipotesi diventa quasi una certezza quando, subito dopo aver pensato all’infarto, inizia anche a notare che gli gira la testa, che sta sudando freddo, che le sue mani hanno iniziato a tremare. La certezza assoluta di stare per morire invade Stefano per molti terribili minuti. Quando l’ambulanza arriva a casa di Stefano il peggio è passato, e Stefano sta bene, per quanto si senta stanchissimo. Il medico gli spiega che probabilmente la sensazione che ha avvertito è un’extrasistole cardiaca, un evento assolutamente benigno in assenza di altre patologie. Ma la paura che questo evento si possa ripetere genera in Stefano una tensione emotiva che lo porta nei giorni e settimane successive ad avere molti altri momenti terribili come quello. Stefano si sente ormai sotto attacco da parte di un nemico invisibile e imprevedibile; può arrivare in qualsiasi momento, senza preavviso.
Che differenze possiamo rintracciare fra la vicenda di Stefano, simile a quella di molti nostri pazienti con una storia di attacchi di panico, e quella di Claudio? Volendo semplificare, e limitandoci al momento del “sintomo scatenante”, la differenza più importante è una sola: al momento di interpretare il primo evento preoccupante, Stefano scambia l’ipotesi “Ho qualcosa che non va al cuore” come qualcosa di certo e non riconosce il proprio contenuto mentale per ciò che esso è, ovvero un pensiero, uno dei possibili pensieri, che non necessariamente aderiscono alla realtà. Al contrario, Claudio si concede un attimo in cui osserva la propria interpretazione e, riconoscendola come un “semplice pensiero”, ipotizza che l’interpretazione possa non essere aderente alla realtà, forse perché un po’ “gonfiata” da un momento passeggero di preoccupazione. In questo modo gli è possibile osservare il proprio corpo senza il filtro interpretativo di una previsione catastrofica, “rompendo” così il circolo vizioso e auto-alimentantesi di cui invece Stefano sarà preda.
Ma è possibile aiutare i pazienti a gestire le proprie interpretazioni in modo da far assomigliare le loro modalità a quelle di Claudio? E’ probabilmente proprio questa una delle più utili applicazioni della Mindfulness. Il primo passo per un paziente che desideri variare le proprie modalità di “risposta” agli eventi della propria vita è, necessariamente, lo sviluppo di una profonda consapevolezza di tali modalità. Ma questa consapevolezza risulterà di difficile raggiungimento se al paziente non viene fornito uno strumento di osservazione delle dinamiche generate dai propri pensieri.
Non stiamo quindi parlando (non in questa sede) di proporre ai pazienti esercizi di meditazione di consapevolezza in seduta, o da svolgersi a casa (per quanto questo tipo di applicazione produca profondi benefici per il paziente evidenziati da innumerevoli studi di efficacia); parliamo invece della promozione di un vero e proprio “atteggiamento mindful” nel paziente: una sorta di modalità attenzionale costantemente attiva, non limitata al momento della pratica meditativa, che gli consenta di osservare i propri pensieri e riconoscerne costanti e particolarità mentre accadono, anziché viverli passivamente subendone le conseguenze comportamentali. E’ nella relazione con lo psicologo, il cui agire tecnico è costantemente orientato in tal senso, che il paziente impara questo tipo di attenzione, che gli consente in definitiva di porre qualche distanza fra l’interpretazione data agli eventi e le conseguenze emotive della stessa, raggiungendo così un maggior grado di libertà ed equilibrio.
La trattazione delle tecniche e degli accorgimenti di gestione relazionale in seduta, che possano promuovere questo atteggiamento di estrema utilità nel lavoro col paziente, sarà oggetto del corso “Tecniche di gestione del pensiero” che si terrà a Milano l’8 e il 9 luglio 2017, organizzato dall’Accademia delle Tecniche Psicologiche. Clicca su questo link per approfondimenti.
Marco Elena
e i colleghi dell’Accademia delle Tecniche Psicologiche