Casi clinici: il racconto del paziente ansioso

All’interno del percorso terapeutico ho chiesto al paziente di raccontare l’ansia con parole sue. Gli ho chiesto di raccontarlo a tutti i lettori di Psiche.

Un tempo Freud analizzava i suoi casi clinici, descriveva il comportamento dei suoi pazienti e condivideva le sue riflessioni. Oggi è il paziente stesso a condividere i suoi pensieri con tutti voi.

È come se la condizione psicofisica per la quale ha chiesto aiuto, diventasse una caratteristica in grado di esaltare la sua persona, in grado di renderla interessante non solo agli occhi di un terapeuta, ma agli occhi di un’intera comunità virtuale.

Per questo, quando gli ho chiesto di condividere una breve riflessione sul mio blog, lui ha risposto di sì quasi lusingato di non essere più solo un’ora nella mia agenda, ma di essere promosso a coautore di un sito letto da centinaia di migliaia di persone.

Mi ha chiesto di restare anonimo. Per questo nel testo lo chiamo Marco, un nome di fantasia. Quando mi ha chiesto di non firmare il pezzo mi sono quasi stupito. Prima era così contento e l’attimo dopo cercava uno pseudonimo. Perché?

– Sono pur sempre ansioso! – mi ha risposto – e se poi faccio brutta figura? –

Touché!

Casi clinici: Marco, il paziente ansioso.

Penso di essere nato ansioso.

Da bambino ero sempre tranquillo, nel senso che non cercavo i pericoli come i miei coetanei, se c’era qualche avventura da affrontare preferivo stare in disparte. Ero considerato da tutti un fifone.

A scuola andavo male, avevo paura di parlare davanti a tutti la classe. Dalle elementari al liceo sempre la stessa storia, anche se sapevo la risposta, preferivo stare zitto per non rischiare di dire qualcosa di sbagliato. Ovviamente negli scritti andavo un po’ meglio, ma in generale andare a scuola era un incubo, quindi non mi sono mai integrato adeguatamente nello studio. Voti scarsi e tante umiliazioni.

Non so perché, ma se devo raccontare la mia ansia la prima cosa che mi viene in mente è la scuola. La scuola è quel momento della vita in cui l’ansioso è costretto ad affrontare la sua ansia. Dopo non ti obbliga più nessuno, puoi aggirare l’ostacolo e fuggire. Magari è anche peggio, ma la sensazione di pace che provo quando svicolo da una situazione spiacevole è uno di quei rari momenti in cui mi godo veramente la vita.

Ho ripetuto molte volte questa cosa a chi mi consigliava di affrontare di petto le situazioni che mi causano ansia. Le ho affrontate, e hanno vinto loro.

Il mio problema poi, non è non riuscire a fare le cose. Se mi sforzo riesco ad affrontare praticamente qualsiasi situazione. Il problema è un altro. Il problema è che niente di quello che faccio mi dà piacere. Quasi niente. Adoro masturbarmi, perché in quel caso non devo rendere conto a nessuno. Per lo stesso motivo adoro leggere. Ascoltare musica. Mangiare, però a casa, meglio se da solo. A dirla tutta amo molto quasi tutti i momenti che passo da solo. In quel caso la tensione di piacere agli altri scompare.

Però mi piace la gente, voglio stare anche con gli altri, organizzare serate con gli amici o con la mia ragazza. Purtroppo tutte queste cose mi piacciono solo quando ci fantastico col pensiero. Appena si avvicinano a diventare concrete mi agito e perdo ogni tipo emozione positiva.

Resta solo la fatica.

Mi ha fatto molto piacere scrivere queste quattro righe, ringrazio di cuore tutti quelli che mi leggeranno.

Marco