Yuccie, creatività pura e creatività conformista

Recentemente è nata una nuova etichetta per definire i giovani nati a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio: yuccie.

Yuccie significa Young Urban Creatives e si applica a tutti quei ragazzi il cui sogno è fare soldi in fretta, però preservando la propria autonomia creativa.

Dal punto di vista psicologico si tratta di quei ragazzi che hanno ricevuto dai genitori un’educazione improntata sull’esaltazione dei valori individuali e della competitività. Ragazzi un po’ viziati provenienti da famiglie benestanti che hanno imparato a immaginare un mondo dove per realizzarsi basta fare meglio dei propri genitori secondo questa logica:

– Economicamente i miei genitori stanno bene e le loro entrate mi hanno permesso di vivere un’adolescenza e post adolescenza divertenti e prive di rinunce significative.

– Per essere felice devo riuscire a guadagnare uno stipendio simile al loro ma lavorando meno e con meno vincoli.

Nell’immaginario collettivo sono i lavori creativi che rispondono a questa necessità: raggiungere il reddito di un professionista preservando l’autonomia temporale autogestita di uno studente.

Per questo motivo, pur vivendo in un periodo di recessione economica, i giovani che tentano la strada della creatività sono sempre di più.

yuccie

Oggi li chiamiamo yuccie, domani spunterà un nuovo termine, non è importante. È importante invece parlare di creatività perché si sta perdendo la sua definizione.

Il copywriter che scrive gli slogan pubblicitari è diverso dal poeta che racconta l’essenza della volontà della natura.

Il grafico che disegna il logo di un brand è diverso dal pittore che fissa per sempre un’emozione sulla tela.

Ma perché sono diversi? Non sono forse entrambi creativi? Senza dubbio, ma sono forme di creatività differenti.

Il copywriter o il grafico si limitano a comunicare qualcosa in modo più o meno originale. Per farlo devono rispettare delle regole d’ingaggio molto rigide che non permettono l’espressione creativa pura, ma obbligano ad attuare un tipo di creatività che diremo conformista. La creatività conformista è necessaria a materializzare le idee del cliente in qualcosa che lo soddisfi, in tempi commerciali, non artistici. È la creatività a cui puntano gli yuccie, quella che non può uscire da determinati schemi di produzione e sviluppo, perché ha sempre un fine commerciale.

La creatività pura invece non ha bisogno di sottostare a nessuna regola, anzi, può permettersi il lusso di crearne di nuove.

Le scuole che indirizzano verso i mestieri creativi insegnano il rispetto delle regole commerciali. Sarebbe folle ipotizzare la possibilità di insegnare la creatività pura, essa rappresenta una deviazione inaspettata dalla norma attraverso la quale si produce un nuovo percorso fisico o del pensiero.

Una scuola potrà solo insegnare come dipingere, ma mai cosa dipingere. Si può educare la creatività conformista a rispondere alle consegne in modo originale, sfruttando le ultime scoperte delle persone di genio che possiedono il dono della creatività pura.

La creatività pura non la si impara a scuola semplicemente perché non ve ne sarebbe il tempo, servono anni per svilupparla e serve l’infanzia. Il bambino quando legge, gioca, disegna, ascolta musica o produce rumori, viene introdotto alle arti, mescola tutte quelle informazioni proveniente dall’esterno in un modo inedito e incomprensibile per gli adulti. Produce qualcosa di nuovo che porterà con sé per tutta la vita e, se le circostanze saranno favorevoli, esprimerà con creatività pura.

Per il creativo puro, creare è inevitabile, perché lui è così. Per il creativo conformista creare è un lavoro, perché lui vuole essere così.