Quando è ancora cucciolo l’elefante viene legato con una catena solida e robusta per evitarne la fuga.
Tutti i suoi tentativi di ribellione falliscono poiché la corda che lo tiene incatenato al palo è troppo forte per la sua statura ancora piccola.
È così che col passare del tempo e dei tentativi, l’elefante si arrende e rinuncia: non è abbastanza forte per potersi liberare e scappare.
Crescendo, aumentano sia la sua stazza sia la sua potenza: basterebbe pochissimo per liberarsi dalla catena che invece è rimasta la medesima.
Ma indovina?
L’elefante è rimasto legato anche col ricordo a quando era solo un cucciolo e non aveva la forza per liberarsi, in lui si è ormai creato un comportamento automatico: ad ogni tentativo segue un fallimento.
È solo una storia? No, purtroppo.
È anche la metafora della vita di molti esseri umani.
Ci sono persone, infatti che crescono con la convinzione di non essere in grado di fare qualcosa oppure di essere davvero solo come gli altri le descrivono. Certo, se ci sono tali convinzioni devono avere avuto un’origine. C’è sicuramente stata un’occasione in cui hanno provato e non sono riuscite o in cui si sono comportate in un modo che ha portato gli altri a descriverle con certi aggettivi.
Ma la vita è mutamento continuo! Nessuno è sempre uguale a sé stesso, cambiano le conoscenze e cambiano le circostanze!
Occorre un vero e proprio atto di “risveglio”, risveglio dall’abitudine di essere come ci si è abituati ad essere, risveglio dai comportamenti automatici.
Occorre divenire presenti, portare l’attenzione alle proprie azioni e pensieri. Provengono da un autentico atto di volontà o sono solo il riverbero dell’abitudine?
È davvero tutto materiale tuo o è il risultato di quello che ti è stato detto o che hai sperimentato in un tempo passato?
“A volte viviamo anche noi come l’elefante pensando che non possiamo fare un sacco di cose semplicemente perché una volta, un po’ di tempo fa ci avevamo provato ed avevamo fallito, ed allora sulla pelle abbiamo inciso “non posso, non posso e non potrò mai”. Siamo cresciuti portandoci dietro il messaggio che ci siamo trasmessi da soli, perciò non proviamo più a liberarci del paletto. Quando a volte sentiamo la stretta dei ceppi e facciamo cigolare le catene, guardiamo con la coda dell’occhio il nostro paletto e pensiamo: Non posso e non potrò mai.”
(Jorge Bucaj)