Chi di noi non conosce questa famosissima canzone di Renato Zero? Un po’ datata certo, ma non per questo meno attuale. Oggi è comune trovarsi in situazioni “triangolari” in cui non si è soli con l’altra persona ma in compagnia di un terzo; inoltre è comune anche aver vissuto il triangolo da varie angolazioni: da amante, da fidanzato ignaro, da traditore. Che poi i triangoli, come in geometria, possono essere di vario tipo. Può esserci anche soltanto un terzo mentale, un’idea di qualcun altro, che condiziona la relazione attuale col partner. Insomma, è facile, in coppia, non essere solo in due.
Penserete voi, questi “giochi” relazionali sono vecchi come il mondo. Forse sì, ma forse ora ne è aumentata l’incidenza, la frequenza ed anche la tollerabilità sociale. I motivi che spiegano tale situazione possono essere molteplici: prima di tutto, oggi, rispetto ad un passato non così lontano, si gode di maggior libertà anche sentimentale. Stare insieme con qualcuno non è vissuto come vincolante e come limitante. Quel legame può essere sempre sciolto, se inizia ad esserci stretto.
E poi, abbiamo più possibilità di scelta, più occasioni, più opportunità di conoscere qualcun altro, magari migliore di chi ci è accanto, che ci faccia stare bene. E se il nostro partner ci soddisfa per certi aspetti ma non per altri, è sempre possibile cercare ciò che ci manca in un’altra persona. Perché no?
Viene da chiedersi cosa ci si guadagna da questa baraonda sentimentale. E mi viene da rispondere che si guadagna in senso di libertà percepito. Siamo una generazione che ama poco l’impegno, l’imposizione, il sacrificio. Siamo la generazione che vuole a tuti i costi differenziarsi dal destino di chi ci ha preceduto, un destino che ci pare angusto, segnato da rinunce e da stenti. Siamo una generazione che vuole godere, che vuole emozionarsi, bruciare di vita e di opportunità.
Gridiamo alla parità, alla libertà di scelta e la usiamo quanto più possibile. O forse ne abusiamo. Perché per essere liberi siamo di sposti a sacrificare tutto il resto. E cosa è questo resto?
Il resto è tutto quello che lasciamo cadere, con la nostra continua fuga verso l’altro. Verso altro.
Il resto è il calore di una relazione duratura, che si è costruita nel tempo e che reca con sé le impronte di chi si è impegnato a costruirla. Il resto è vedere il proprio impegno che dà vita a qualcosa di inesistente prima. E’ vero, ci sono cose che dell’altro potrebbero sempre non piacerci. Ma piuttosto che scartarlo per tali motivi, essere capaci di stare insieme nonostante i reciproci “difetti” è una cosa molto più appagante.
La continua possibilità di scegliere e scartare non ci consente di costruire legami saldi, che non siano restrittivi ma che siano fonte di sicurezza. Inoltre, ci impedisce di assumerci la responsabilità della scelta che si è compiuta. Decidendo di stare con quella persona piuttosto che con un’altra. Perché scegliere ciò, scegliere di restare e stare, richiede un esserci completamente, un mettersi in gioco profondo, senza scuse. Richiede assumersi la responsabilità di camminare insieme con quella persona, proprio con quella persona, e assumersi la responsabilità anche di un eventuale fallimento.
Poter avere sempre altri intorno ci protegge dall’ansia di dover rischiare e anche di poter sbagliare. Di fronte ad un piccolo dubbio non c’è cosa più facile che cambiare. E cambiare continuamente, poiché ci potrà essere sempre altro, sempre un altro che possa darci la certezza di star facendo la scelta giusta. Certezza che invece dipende solo da noi, soltanto dalla nostra voglia di metterci in gioco oppure no.
Scegliere di restare in due, scegliere di provarci. Non c’è cosa che renda più liberi. Dalla propria ingorda insoddisfazione, dalla propria costante solitudine.