Ho letto in questi giorni un libro sul perdono che mi è piaciuto molto e che, proprio per questo motivo, ho deciso di presentarvi qui. Il libro in questione è “Non è più come prima” dello psicoanalista lacaniano Massimo Recalcati.
Non è un testo di facile lettura, considerando lo stile filosofeggiante di Recalcati, che potrebbe renderlo per molti pesante e impegnativo, ma è sicuramente un testo denso ed estremamente interessante.
La domanda dalla quale Recalcati parte è:
È possibile perdonare, di fronte al tradimento o all’abbandono del partner?
Partiamo da una considerazione:
ESSERE TRADITI O LASCIATI È UN VERO E PROPRIO TRAUMA
Innanzitutto c’è da considerare la natura traumatica del tradimento e dell’abbandono. Il trauma, scrive Recalcati, è “un evento che buca l’ordine stabilito del mondo nella misura in cui fa vacillare il punto perno costituito dalla certezza e dalla fede nell’altro“. Nel tradimento il dolore è immenso e sconvolgente perché la figura del traditore coincide con la persona che fino a prima era depositaria della fiducia più totale. Nel tradimento, infatti, viene infranta la promessa del “per sempre” che lega i due innamorati e che li porta ad essere fedeli l’uno all’altra, a desiderare il rinnovo ogni giorno della promessa d’amore.
La possibilità-di-perdonare, così come l’impossibilità-di-perdonare, sono due vie rispettabili e dignitose e non è che la prima valga di più o sia migliore della seconda. Anzi, per Recalcati, perdonare e non-perdonare sono da un certo punto di vista il risvolto della stessa medaglia, perché in entrambe si riconosce il valore del tener fede all’amore. Da una parte, nel perdono si ritiene possibile rilanciare quell’amore tradito; d’altra parte, l’impossibilità a perdonare, è data dal fatto che la ferita a quell’amore assoluto è stata così forte e aspra da averlo inquinato per sempre e da non consentire altra scelta se non la chiusura della relazione stessa. Chi riesce a perdonare e chi non-riesce a perdonare, quindi, hanno in comune l’aver dato all’Amore un valore assoluto.
IL PERDONO “VERO”
Il trauma del tradimento, così come quello dell’abbandono, ossia dell’essere lasciati/e, è sconvolgente.
Se l’amore è ciò che dà senso alla vita, il tradimento al contrario fa precipitare nel non-senso. Di fronte alla realtà del tradimento, la vita perde i suoi colori diventando un film in bianco e nero: non esiste primavera, non esiste il piacere né delle piccole né delle grandi cose, il cuore si svuota rimanendo congelato di fronte alla depressione e alla rabbia pervasive che il tradimento ha creato. Nessuna medicina aiuta a risollevarsi da questo dolore, se non come momentanea panacea che, una volta terminato il suo effetto, fa ricadere nel buio più totale.
“Tutto è come prima“, scrive Recalcati (da cui il titolo del libro): “le strade, le vetrine, gli abiti, il volto, le mani, i cinema, i ristoranti, i libri, il tempo, le mattine, le notti… Tutto è rimasto come prima. Eppure tutto non è come prima“.
Il perdono “vero” è quello che permette alla coppia di ripartire rinnovando le promesse d’amore. Non si dimentica ciò che è avvenuto, ma lo si ingloba nella propria esperienza sentendo che quello è una parte di vita, un momento specifico, ma che non è tutta la Vita.
Perdonare è arrivare a dire: “Sì, ti voglio incontrare, di nuovo, ancora, ancora una volta”. Il desiderio di vendetta, ora, è un lontano ricordo e anche i sensi di colpa per quello che è stato fatto/non fatto, si allontanano lasciando la coppia sempre più leggera, via via che il tempo passa.
GLI STEP DEL PERDONO
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RACCOGLIMENTO IN SE STESSI
Per perdonare, occorre lasciare che passi un tempo fisiologico (un anno generalmente) proprio come avviene quando si vive un lutto (leggi l’articolo “LA SEPARAZIONE È COME IL LUTTO“). I comportamenti del partner per farsi perdonare, le sue richieste di scuse, i suoi tentativi di riparare al danno, sono spesso poco utili, perché chi è stato tradito deve fare i conti con il proprio mondo che è crollato, con la propria idea del partner che si è completamente disgregata. Si può pensare di arrivare al perdono non per magia, ma attraverso un movimento introspettivo di raccoglimento che si conclude con la presa di decisione da parte del tradito: rimaniamo insieme, oppure, ci separiamo. Spesso è utile parlarne con qualcuno (uno psicologo ma anche un amico super partes) per farsi aiutare nel dare un senso a tutto ciò che ha perso un senso.
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RICONOSCERE LA TOTALE ESTRANEITÀ DEL PARTNER
Il “lavoro del perdono”, così come lo chiama Recalcati, prevede che la persona che ha subìto il trauma sia in grado di giungere alla consapevolezza del partner come completamente Altro da sé.
Inconsciamente, infatti, soprattutto nella fase dell’innamoramento (quella della “simbiosi” nell’articolo “LE FASI DELLA VITA DI COPPIA“) ma anche in tanti amori “narcisistici”, non si ama il partner per quello che è, ma per quello che rappresenta per noi. L’Io e il Tu si confondono e in quel Tu vengono riposte aspettative, desideri, bisogni che si vogliono veder soddisfatti nella relazione con il partner. Ecco, quindi, che se io ho riposto in lui/lei l’aspettativa di avere una relazione “perfetta”, facilmente interpreterò le azioni del/della partner come volte alla protezione della coppia, più che come attacchi alla coppia, proprio perché nella mia mente non prevedo che il/la partner possa fare qualcosa contro di me.
Un’altra proiezione che si fa nel partner che tradisce, è di riversare nel traditore tutto il “male” che non si riesce ad accettare in sé e che si è sempre negato nella coppia. Coppie che non litigano, coppie che non si mettono in discussione, coppie che non vogliono vedere ciò che non va perché potrebbe essere pericoloso, ad un certo punto si trovano a fare i conti tutto d’un tratto con ciò che prima era stato negato. Chi tradisce diventa il “brutto e cattivo” che ha rotto quell’equilibrio, quella (finta) sfera di cristallo nella quale la coppia si era posizionata.
Il tradimento, quindi, mette di fronte a chi è stato tradito, un’immagine diversa del/della partner, lontana da quella che si aveva in mente fino a quel momento. La pretesa di conoscere l’altro al 100% crolla miseramente e, da un certo punto di vista, anche “sanamente” perché non si può mai avere la pretesa di conoscere l’altro al 100%.
L’altro non è quello Ideale, che io volevo fosse, ma è Reale, con dei luoghi interni macchiati, sporchi, che fanno parte del suo essere, della sua Ombra. Ora posso vedere quelle parti, sono lì, le accetto.
Ci si trova quindi a ri-conoscere il partner, nella propria solitudine: “palpare con incertezza e alla cieca il corpo dell’altro – divenuto straniero – per arrivare alla fine a riconoscerne nuovamente l’identità” (Massimo Recalcati, “Non è più come prima”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014, p. 99).
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RIDISEGNARE LA PROPRIA IDENTITÀ
La domanda del “PERCHÈ MI HA TRADITO/A?” risuona come un disco rotto nella mente di chi ha subito il tradimento. Perché lo hai fatto? PERCHÉ? Il crollo dell’immagine del partner, fa crollare la relazione che si era costruita ed ha inevitabilmente ripercussioni anche sull’immagine di se stessi come donne-mogli tradite e uomini-mariti traditi.
Occorre ricostruire la propria immagine di sé, attraversare il senso di mancanza, la ferita narcisistica che il/la partner ha inferto e che viene vissuta come un’onta, una macchia indelebile alla propria immagine interiore e sociale (“Non avrei mai immaginato che sarebbe capitato a me”, “Non me lo meritavo”, “Ho sempre fatto di tutto per essere una buona moglie/un buon marito, e questa è la moneta con cui sono stato/a ripagato/a”, “Cosa penseranno gli altri di me”).
Guardando a se stessi e a ciò che è venuto meno, dentro di sé, si incontra il limite di sé, del partner e della coppia. Che cosa era stato riposto nel partner? Cosa non si era voluto vedere e da cosa ci si era lasciati accecare? Il lavoro del perdono è un lavoro di conoscenza di se stessi e di grande scoperta interiore che può spaventare all’inizio, ma che è spesso l’unica strada percorribile per arrivare ad una decisione.
IL PERDONO DI COMODO
Si può parlare di “Perdono”, come scrive il filosofo J. Derrida, solo se l’oggetto del perdono è davvero imperdonabile: “perdonare il perdonabile, il veniale, lo scusabile, ciò che si può sempre perdonare, non è perdonare”. Siamo tutti bravi a perdonare la piccola mancanza e quante volte può essere capitato di dire “Devi farti perdonare!” per delle bazzecole. Il perdono di cui si parla qui è il Perdono “vero”, il più alto gesto d’amore, quello che va oltre la pensabilità.
È Perdono quello della mamma verso l’uomo che ha ucciso la propria figlia. È Perdono quello del ragazzo verso chi, in un incidente, l’ha reso invalido per tutta la vita. È Perdono quello della donna/dell’uomo verso il/la partner, che hanno tradito il “Ti amerò per sempre” sul quale avevano costruito la loro vita.
In quest’ottica, perdonare non equivale a scegliere di rimanere con il partner per comodità, per non incontrare la fatica e la destabilizzazione del cambiamento che la separazione comporterebbe. Perdonare, in questo caso, spesso assume la forma dell’accettare con rancore di rimanere in coppia, pur non condividendo più se stessi nell’incontro con l’altro. L’essere separati-in-casa facendo finta di aver perdonato il partner, non è perdono vero perché rispetto a quest’ultimo non consente di ritornare a sorridere, a viversi di nuovo, a riconoscersi, ancora una volta, come compagni di vita, amanti e non solo genitori dei figli per i quali si decide di stare insieme.
In questo senso, a mio avviso:
“perdonare per comodità” è un rimanere-nel-dolore più che un ricominciare-dal-dolore.
L’IMPOSSIBILITÀ DI PERDONARE
L’impossibilità di perdonare è l’altra alternativa a cui spesso vanno incontro le persone.
Nelle storie di una vita, nei matrimoni di lunga data, nelle relazioni che hanno partorito figli, in cui sono stati condivisi progetti, desideri, sogni, paure, gioie, lacrime, emozioni… in tutte queste relazioni, dice Recalcati, “c’è un punto in cui l’amore diventa irrecuperabile“. Quel “punto” è quando il partner inganna se stesso, quando si allontana “dal proprio desiderio e dalla propria Legge”, ovvero quando vive nell’ambiguità, in maniera incoerente rispetto alla propria vita.
Nell’ultima parte del libro, Recalcati regala al lettore un breve racconto sui diversi esiti della vicenda di O., un uomo sposato e con figli, nel pieno del successo professionale, che scopre inaspettatamente il tradimento della moglie e che riesce a perdonarla, e la vicenda dell’amica di O., I., che scopre il tradimento del marito e che invece non riesce a seguire altra strada se non quella della chiusura della relazione. Nella lettera che I. scrive al marito, si legge:
“…Ho provato in questi mesi a perdonarti ma non ci sono riuscita. Non ci sono riuscita per amore… io non posso più fidarmi di te… Nel tuo atto infedele tutto si è consumato: il male, la menzogna, il tradimento. La corruzione degli anni vissuti insieme e delle nostre parole. La distruzione delle promesse… Niente ormai potrà ristabilire l’ordine e l’armonia che regnavano tra noi. […] Ti illudevi che non avrei mai saputo. Che saresti rimasto al sicuro con la tua astuzia da principiante. Tu e lei, che ho solo visto di spalle, ma che avevo conosciuto a una cena. Doppia umiliazione. Mi hai tradita con qualcuno che mi conosce… Nessuna cura, nessun rispetto per me… Mi ripetevo che ti avrei perdonato, perché volevo convincermi che per troppo amore si può anche sbagliare… Ma non ce l’ho fatta. […] …superata la crisi acuta di disperazione, mi sono chiesta come avrei potuto esserti ancora fedele ora che ti amavo con timore, ora che la paura si era impossessata di me, ora che la tua parola suscitava in me solo diffidenza e sospetti. […] Ora ti guardo mangiare, parlare, camminare e vedo un altro, non sei più tu, non sei più tu almeno per me. Cosa sei diventato? Un altro o quello che eri da sempre stato?” (Massimo Recalcati, “Non è più come prima”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014, pp.154-156).
CONSIDERAZIONE FINALE
Mille possono essere i motivi che hanno portato o portano a tradire, da una parte, e a non accorgersi del tradimento, dall’altra parte. Se hai letto questo articolo e sei arrivato/a fino alla fine, probabilmente hai vissuto una situazione del genere oppure questo tema ha risuonato con elementi interni a te e alla tua storia personale. Non lasciar cadere nel vuoto questo momento, ma coglilo come occasione di conoscenza personale. Un buon lavoro su se stessi è fondamentale per capire quali dinamiche interne inconsce hanno agito in uno o nell’altro versante, per evitare che si ripropongano e per permettere alla persona di vivere con maggiore serenità, rispetto e correttezza, in primis verso se stessi e anche verso il partner.
© DR.SSA ILARIA CADORIN
Psicologa n°9570 Albo Psicologi del Veneto
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