Conoscere, sentire, accettare e definire le emozioni siano esse positive che negative, aumenta la propria autostima. Ti sarà capitato tante volte, nella tua vita, di sentire la tipica frase “Non devi avere paura”, come se le emozioni negative non potessero far parte di te. Ma chi l’ha detto??? Devi sapere che questo tipo di atteggiamento, in psicologia, può essere tradotto quale negazione cognitiva ed emotiva, che influenza non solo il tuo benessere, ma il tuo senso di autostima. Proprio così; la comprensione e l’accettare di convivere con le emozioni, soprattutto di tipo negativo, va di pari passo con ciò che viene chiamata maturazione affettiva e sociale. Queste dinamiche psicologiche hanno, da sempre, un legame fortissimo, al punto da essere modificate le une dalle altre . Etichettare le emozioni, divenire tossicodipendenti affettivamente, piuttosto che distaccati, apatici, anestetizzati, favorisce un benessere che la persona nemmeno immagina.
Emozioni negative e autostima: il legame segreto
Due anni fa si presente in studio Edoardo. Edoardo ha 43 anni, è un architetto, ed è da alcuni mesi single. Edoardo fa chiamare la sua segretaria, per fissare un incontro, motivato dalla consapevolezza del momento difficile che sta vivendo. Chiedo di essere contattata direttamente da lui, per comprendere la sua reale motivazione e, dopo una sua telefonata, fissiamo una consulenza. Quando lo incontro la prima volta, mi racconta di essere cresciuto in una famiglia tradizionale, dove c’era e c’è sempre stata una mamma molto precisa e combattiva, un pilastro, al contrario di papà, il quale era poco attivo nella vita familiare, anche a causa del suo lavoro, che lo portava a dover essere presente nell’azienda di famiglia. Sottilinea, però, in questa figura, un uomo su cui poter contare nei momenti importanti, nonostante la mera affettuosità o i suoi rari gesti e parole amorevoli. Nemmeno la madre, comunque, a detta del paziente, si era dimostrata fin da quando era piccolo, molto empatia alle emozioni.
Edoardo mi dice inoltre di aver conosciuto una donna, con la quale si è frequentato, e con cui stava abbastanza bene. Circa 9 mesi fa, però, hanno deciso, causa progetti e priorità di lui, di comune accordo, di interrompere la loro relazione.
Quando chiedo a Edoardo cosa lo spingesse a chiedere il mio aiuto, mi risponde di non accettare la fase della vita che stava attraversando. Non essendo mai stato un uomo debole o emotivamente “traballante”, non essendo la classica persona che si abbatte, che si dispera, ora non accetta il suo vivere. Si sente debole per le emozioni confuse che prova, è distaccato da tutto e tutti, si dice apatico. Litiga spesso con la madre, dalla quale non si sente capito; nonostante lei, come sempre, cerchi di spronarlo e di ritornare a essere un uomo tutto d’un pezzo, forte, come è sempre stato, lui non riesce a reagire. Inoltre, verso se stesso nutre una grande rabbia, proprio derivante questo vivere in modo negativo, confusionario, doloroso, da “comparsa” come lui attesta. Chiede, pertanto, di iniziare un trattamento con me, per chiarirsi le idee su cosa sta accadendo, soprattutto dentro di lui.
Tossicodipendenza affettiva: il caso clinico
Dopo un anno e mezzo, Edoardo mi ha salutato e ha lasciato il mio studio con un grande sorriso. Lavorare insieme lo aveva portato alla consapevolezza che anche gli uomini forti, hanno lati più complessi e non deboli, emozioni negative ma non screditanti, momenti dolorosi ma non problemi di cui vergognarsi. Non utilizzava più l’apatia come meccanismo di difesa, accettava e chiarificava le sue emozioni negative, ha imparato a elaborarle, senza vergognarsene o usarle quale modo per auto screditarsi.
Edoardo aveva un buon funzionamento psichico, era centrato nei suoi obiettivi, ma la sua consapevolizzazione delle emozioni, era bloccata. Era privo di tossicodipendenza emotiva. Quali potevano essere le cause di questa incapacità che provocava il suo malessere? Probabilmente il vivere secondo forti stereotipi, un clima familiare, indotto soprattutto dalla figura materna, molto rigido in cui si era nel giusto e si poteva vivere in modo adeguato, solo attraverso una perfezione che non trapelava emozioni. C’era una elevata ricerca di forza, che era connessa per a una freddezza di relazioni sociali e emotive. Insieme abbiamo lavorato sulla sulla consapevolezza e sulla gestione dell’etichettamento delle emozioni che provava. Ci siamo focalizzati sui momenti di difficoltà in cui evidenziava sensazioni e pensieri negativi, che attivano in lui un rimugino screditante. Lavorando in Edoardo si è attivata una buona maturazione emotiva, affettiva, cognitiva e sociale la quale era venuta a mancare, purtroppo, fin da quando era piccolo. Da quando lui ricordava, era un bambino che doveva essere forte, e che non doveva avere paura di nulla, che aggrediva ogni difficoltà come se fosse in un continuo cavalcare per distruggere gli ostacoli che incontrava nel suo cammino. Estenuante!
L’allenamento cognitivo prevedeva l’espressione degli stati emotivi che viveva in certe situazioni, nelle quali non si sentiva bene o a suo agio. Idealmente, tale capacità di espressione e affinamento degli stati emotivi, continua per la vita, e si diventa con il tempo sempre più precisi nell’articolare le emozioni con noi stessi e con gli altri. Il piacere di rappresentare i propri affetti, le emozioni, i pensieri e i comportamenti che attiviamo di conseguenza, incrementa l’autostima e la forza personale di self efficacy.
Dr.ssa Giada Ave Psicologo
SEGUI I MIEI POST GIORNALIERI SU INSTAGRAM
PER INFO
contatta la Dr.ssa Ave
inviando una mail a giada@avegiada.com
o collegandoti a Psicologo Giada Ave
10 COSE DA RICORDARE SULL’AUTOSTIMA: