Consideriamo due relazioni amorose, entrambe di cinque sei anni vissute durante il periodo universitario da due ragazze con i rispettivi fidanzati.
La prima è una splendida storia d’amore. Lui e lei si comprendono, si supportano, si aiutano e completano nei momenti belli e nei momenti difficili della carriera universitaria. Al termine degli studi la vita cambia e obbliga i due innamorati a lasciarsi.
La seconda è una relazione travagliata. Lui e lei si incolpano a vicenda dei loro problemi. Vivono tensioni emotive forti arrivando non di rado a esplodere di rabbia, a causa della frustrazione di trascinare un rapporto sbagliato. Al termine degli studi la vita cambia e obbliga la coppia a lasciarsi.
Una delle due ragazze ha sofferto molto, ma gradualmente ha riconquistato la propria vita. Ha ritrovato il piacere di sperimentare nuove relazioni e alla fine ha trovato quella giusta. L’altra continua a soffrire, non riesce a superare il trauma dell’abbandono e mitiga il dolore abusando di sostanze e cercando rapporti sessuali a rischio.
Cosa può aver provocato queste differenze? Quale tra le due ragazze è riuscita a superare meglio il lutto legato alla perdita del suo legame affettivo?
In modo intuitivo dovremmo rispondere la seconda, quella che viveva una relazione travagliata. È più facile abbandonare qualcosa di brutto. Logicamente, se qualcosa ci fa male, allontanarci da quella cosa dovrebbe farci stare meglio.
Invece, spesso in questi casi accade proprio l’inverso.
Il concetto chiave per comprendere questo paradosso è il rimpianto.
Pensate alla seconda ragazza. Lei sente di aver buttato via gli anni universitari, rimanendo disperatamente aggrappata a una relazione travagliata, i cui unici ricordi postumi sono il dolore per i litigi e la fatica con cui sopportava l’incessante turbinio di emozioni negative. L’angoscia e il dolore non sono rivolti esclusivamente alla perdita della relazione. Lei è in lutto per la sua stessa vita.
Per la prima ragazza è diverso. Il dolore per la fine della sua storia d’amore è enorme e richiederà del tempo per venire superato. Ma in quel dolore non c’è tutta la sua vita, anche se in alcuni momenti sarà portata a crederlo. Quel dolore parla solo della fine di qualcosa che lei avrebbe voluto continuasse. Non c’è rimpianto perché la vita è così, a volte toglie qualcosa. Se quel qualcosa è stato costruttivo, allora, quando scomparirà il velo di dolore che la acceca dopo la perdita, capirà che non è perso ma fa parte di quello che è.
A volte ci chiediamo se sia giusto cambiare qualcosa nella nostra vita. Lo facciamo quando siamo insoddisfatti da ciò che studiamo, dal nostro lavoro, dalla nostra relazione, da un nostro comportamento e da qualsiasi altra cosa appartenga alla nostra sfera di unicità.
Di fronte a questa domanda, spesso si danno mille giustificazione per non cambiare niente. Costruiamo una nostra personale morale che giustifica alcuni comportamenti irrazionali.
In queste circostanze dovresti chiederti cosa rimpiangerai domani, quando ripenserai a questo periodo del tuo percorso. Se il rimpianto che immagini è grande dovresti fare l’enorme sforzo di cambiare.
Perché la posta in gioco è la tua vita.
Bibliografia