SPORT E FAIR PLAY: QUANDO RISPETTO E LEALTA’ FANNO PARTE DEL GIOCO

Il concetto di Fair Play nasce dal Codice di etica Sportiva stilato a Rodi nel 1992 dai ministri europei dello sport. Esso include concetti che vanno ben oltre il semplice rispetto delle regole dello sport, ma rappresenta un modo di pensare in ambito sportivo. Il codice etico sportivo riguarda la lotta contro l’imbroglio, contro le astuzie per aggirare le regole, la lotta al doping, alle violenze fisiche e psicologiche contro gli attori dello sport, la lotta alla corruzione ed alla commercializzazione eccessiva. Insomma un comportamento virtuoso che per attecchire in ambito sportivo dovrebbe essere presente come componente nella vita di ognuno di noi, sportivi e non.

Se il FairPlay non è presente a scuola, nel lavoro, in famiglia è molto difficile pensare che esso possa essere espresso nelle competizioni sportive. Pensiamo ad esempio a chi deve giudicare, sanzionare e valutare il comportamento o la prestazione di uno sportivo: giurie, commissioni, arbitri. Il trattamento di questi ultimi è quello che peggiora anno dopo anno, raggiungendo livelli che si pensa inaccettabili fino all’episodio successivo, portando ad una delegittimazione di coloro che hanno il compito di valutare il rispetto delle regole di gioco. Soprattutto nel calcio la possibilità di contestare l’arbitro durante la gara va dal semplice sguardo di disapprovazione a forti contestazioni verbali fino ad arrivare a minacce e attacchi fisici gratuiti che spesso portano a conseguenze anche molto gravi. Un comportamento che spesso varca i confini del terreno di gioco, degenerando fuori da esso ed alimentando comportamenti violenti di facinorosi che nulla hanno a che fare con lo sport e cercano solo il pretesto per sfogare la propria rabbia e la propria frustrazione legate a noia ed insoddisfazione.

L’attacco agli arbitri che negli sport più popolari sono chiamati a far rispettare le regole è l’esatta trasposizione dell’atteggiamento di una società in cui c’è un attacco costante di quelle figure super partes che dovrebbero dirimere le controversie, fare rispettare le regole ristabilire la giusta misura, delegittimandoli, di conseguenza nei loro ruoli istituzionali (magistrati, garanti, giudici, authority, ecc.). Spesso l’arbitro finisce per diventare il capro espiatorio degli errori di tutti. Certo si può non essere d’accordo con la sua decisione, si può non gradire che ci sia proprio quell’arbitro ma queste sono contestazioni che andrebbero tenute fuori dal campo e lontano dalla gara, anche perché influenzano fortemente le prestazioni di tutti, arbitro compreso, senza che nessuno se ne renda conto.

L’attenzione delle regole del FairPlay è purtroppo focalizzata su qualcosa di più “coreografico” per così dire, come il cerimoniale di fine gara (tra l’altro assente già da qualche anno); come se stringersi la mano dopo essersi offesi ed essersele date di santa ragione durante una gara di calcio, magari inveendo contro un arbitro che è chiamato lì a fare il suo dovere dovesse essere indice di manifestata sportività! Concetti come: rispetto dell’arbitro, avversario, o tifoso dell’altra squadra che sia non possono essere ridotti ad un mero rituale di fine gara che spesso assume, come detto solo un valore coreografico. Si tratta di concetti e modi di fare, di agire, di comportarsi che andrebbero inculcati fin da bambini all’interno delle istituzioni educative e di crescita: famiglia, scuola, comunità.

Le regole della sportività, quelle non scritte, sono trasmesse attraverso l’esempio delle persone con cui cresciamo e la nostra imitazione dei loro comportamenti. Non rispettare le regole è una scelta ma ciò porta ad un’assunzione di responsabilità rispetto a quella trasgressione. In ambito sportivo il rispetto delle regole non è legato solo al rispetto del regolamento dello sport che si pratica ma più ad ampio raggio comprende anche il rispetto dell’arbitro verso il quale si deve avere fiducia che svolga il suo compito nel migliore dei modi e più onestamente possibile considerando che i suoi eventuali errori fanno parte della gara o della prestazione; ma anche nei confronti dell’avversario si deve avere massimo rispetto perché rappresenta una componente necessaria della prestazione, senza la quale giocare o gareggiare non sarebbe possibile e non ci si potrebbe divertire ed è in questo caso, per citare Vygotskij, che “Il gioco è diventato affetto”.

L’aspetto etico legato allo sport però non nasce dal voler giocare ma va accompagnato, o meglio spinto da un’educazione al rispetto delle regole, alla legalità e alla pacifica convivenza civile che inizia in famiglia, prosegue nella scuola e continua vita natural durante. Il Fair Play è frutto di educazione e l’educazione è spesso faticosa, lunga e non senza intoppi che portano a blocchi o addirittura a tornare indietro. Tornando a Vygotskij è interessante considerare il concetto che egli esprime in: “Immaginazione e creatività”. Egli afferma che essendo il gioco un momento di piacere quando il bambino lo mette in atto sceglie la via di minore resistenza, proprio perché desidera divertirsi. Contemporaneamente però impara a rispettare le regole, a sottomettersi ad esse, la via di maggior resistenza, quella che prevede di non agire secondo un impulso immediato. Ed è proprio la scoperta di possedere la forza di rispettare le regole che dà ancora più valore al gioco, esaltandone il piacere; divertirsi nonostante regole e prescrizioni rinforza l’autostima del bambino.

Per approfondire:
F. Scarparro, “Giochi di squadra e fai play. Educare sul campo” in Psicologia Contemporanea, n.208, Lug.-Ago. 2008 pp. 13-17

© Dott. Pasquale Saviano
Psicologo – Psicoterapeuta