La conquista della propria identità è un processo difficile e lungo che spesso si estrinseca attraverso tutto il percorso di vita. Oggi più di prima rappresenta un processo che ha delle caratteristiche ben definite. La possibilità di aderire a “diverse identità” che a differenza di una volta possono anche discostarsi dalle influenze sociali, familiari, di ceto, di casta, ecc. è una prerogativa attuale.
I ruoli scelti o prescelti una volta dovevano essere assolutamente coerenti con se stessi e le loro caratteristiche. Un insegnante doveva aderire a certi canoni come l’eterosessualità, una donna doveva arrivare illibata al matrimonio, ecc. Tutti canoni di appartenenza che determinavano le caratteristiche della persona che abbracciava una propria identità. Ancora oggi certe virtù appartenenti alla classe borghese sono apprezzate.
Ma ciò che oggi prevale è un maggiore spazio per se stessi, la propria soggettività, i propri desideri anche se ciò non è sempre in linea con il senso dell’identità verso cui spinge la società cioè una certa uniformità.
Come già ampiamente detto, oggi la società non è più vista come qualcosa di stabile e definitivo ma un processo in continua trasformazione nel quale possono coesistere diverse sfaccettature identitarie in contrapposizione, in armonia o in competizione tra loro. Tutto ciò porta al contrapporsi di un’esigenza che caratterizza la condizione psicologica di molti giovani: da un lato l’esigenza di costruirsi una vita, fare scelte, ecc., dall’altro la volontà di mantenessi tutte le porte aperte, non assumendo impegni definitivi o distruggendoli poco dopo averli assunti. Quindi un’identità costantemente messa alla prova, flessibile, ondeggiante che si modella sulla base delle proprie esigenze più che su quelle della società.
Ed è proprio la società che favorisce la percezione di godere di maggiori libertà e che quindi porta le persone alla difficoltà di scegliere. L’enfasi che oggi viene messa sull’autorappresentazione, sul mettersi in mostra fa sì che le scelte siano sempre più superficiali e ciò che vale oggi potrebbe non valere domani. Il desiderio di apparire influenza il modo di essere quindi la “vera” identità scompare e si salta da una caratteristica all’altra. Questo potrebbe anche essere positivo se favorisse semplicemente una flessibilità ed una capacità di adeguarsi agli eventi, ma quando questo “non-senso” di identità diventa una caratteristica predominante favorendo lo sviluppo di identità multiple, transitorie e spesso instabili e conflittuali diventa difficile gestirlo. La confusione regna sovrana e porta molte persone, soprattutto gli adolescenti a trovare grosse difficoltà nello sviluppare e mantenere un senso dell’identità propria e stabile. La possibilità oggi di procrastinare le scelte relative al proprio ruolo, di giocare con la propria identità, di rimandare scelte definitive e casomai di modulare le scelte nel tempo non fa altro che portare al rischio di una frammentazione della personalità, di portare avanti una vita incoerente, disordinata e non sempre gestibile.
L’abbandono di un’identità individuale intesa come essenza innata, unitaria e fissa, di per sé immodificabile è caratteristica dell’epoca moderna. La libertà di potersi approcciare ad un senso dell’identità modificabile, intercambiabile, costantemente regolabile provoca inevitabilmente ansia. Ciò perché quando le possibilità di scelta sono molte si cade purtroppo nel dubbio e il dubbio genera ansia, perché non si è mai sicuri di aver fatto la “scelta giusta”, la crisi è quindi dietro l’angolo e l’idea di poter fare o trovare qualcosa di meglio si fa largo nella mente dell’individuo portandolo a modificare tutto, di nuovo, entrando in un circolo vizioso che invece di portare equilibrio porta ad un costante disequilibrio. Si avverte pertanto il forte bisogno di riconoscimento ed apprezzamento da parte degli altri che raggiungono quindi il potere di validare o invalidare la propria identità.
È risaputo (Mead, 1934) che ognuno di noi sviluppa una coscienza di sé in base al rapporto con gli altri, tale per cui la costruzione dell’identità avviene sulla base delle aspettative di chi vive intorno a noi (partner, genitori, colleghi, ecc.). E quando, in alcuni casi, purtroppo paradossalmente il proprio senso dell’identità porta all’estremo tentativo di affermarsi come soggetto che fa della malattia il proprio progetto di vita solo per sentirsi accettato egli intravede come unica possibilità la validità della patologia. Si tratta di una richiesta di attenzioni, accudimento che va ad inficiare non solo l’aspetto psicologico ma anche quello fisico.
Un buon senso dell’identità permette di rendersi conto che non siamo del tutto liberi, diversi fattori interferiscono con la costruzione di noi stessi. Il “dover essere” che viene tanto paventato dai singoli ma anche dalla società è qualcosa che in alcuni casi, in alcuni momenti, in alcune situazioni non è realizzabile. Quindi capire quali sono gli spazi di espressione del proprio reale Io e quali quelli in cui questo Io non può essere espresso è importante al fine di creare uno spazio di vita poco ansiogeno. Ciò non significa accettare passivamente limitazioni e condizionamenti spesso arbitrari, ma capire che esistono vincoli e spazi ben definiti che forse non vogliamo vedere ma che circoscrivono i nostri vincoli di libertà.
La mancanza di reali obiettivi è la trasposizione della mancanza di accettazione di questi vincoli poiché a sua volta porta, come detto, a continue trasformazioni e spesso scadendo nell’appiattimento più totale ed alla rinuncia di una costruzione dell’identità. Oppure alla delega ad altri di dare a noi un senso dell’identità che però non sarà mai nostro, ma sempre “calato” dall’esterno e mai costruito ad hoc portandoci ad aderire incondizionatamente a standard comportamentali per evitare di cadere nell’ansia, nel disagio e nella sofferenza interiore tipica del caso in cui si rinunci definitivamente a sviluppare un proprio senso dell’identità.
In entrambi i casi purtroppo si rinuncia ad una delle più grandi conquiste dell’era moderna: lo sviluppo autonomo e responsabile della propria identità.
Per approfondire:
A. Oliverio Ferraris “Il carnevale dell’identità” in Psicologia Contemporanea, Mag-Giu 2000, 159, Giunti, pp. 18-25
© Dott. Pasquale Saviano
Psicologo – Psicoterapeuta