I malesseri legati all’ambito scolastico, il disagio dell’età evolutiva, soprattutto psicologico rappresentano sempre qualcosa che allarma gli “addetti ai lavori”: docenti, psicologi, educatori.
La caratterizzazione del bambino in età scolare è legata proprio al suo ruolo di studente per cui la crescita avviene ed è mediata dall’ambiente scolastico che lo pone quotidianamente di fronte a diversi compiti con i quali dovrà misurarsi.
Un malessere affettivo e relazionale incontrato in ambito scolastico può ricadere sulle capacità di apprendimento, su problemi nel rendimento scolastico, difficoltà di concentrazione, di attenzione, comunicazione e relazione con i compagni e non solo.
Pertanto il disagio scolastico si viene a configurare come una diretta conseguenza sia di uno scarso rendimento scolastico con conseguenti insuccessi (bocciature, note disciplinari, brutti voti) sia con una mancanza di una buona relazione con compagni ed insegnanti che non riconoscono i successi scolastici. Tutto ciò va a minare inevitabilmente l’autostima e la fiducia in se stessi e nelle proprie azioni.
La struttura affettivo-emozionale degli alunni influisce nella stessa misura delle abilità cognitive e della volontà di impegnarsi. Un insegnante che non riesca a supportare una struttura affettivo-emotiva carente a causa delle esperienze dell’alunno difficilmente riuscirà ad ottenere dei risultati positivi in ambito didattico. Infatti le relazioni disfunzionali sperimentate dai ragazzi possono influire sul processo di apprendimento rendendolo difficile. È proprio questa che deve essere attensionata, ovvero la relazione e la sua funzionalità, sia all’interno che all’esterno dell’ambito scolastico. Scaricare la responsabilità di un problema o di un comportamento solo sull’alunno etichettandolo come “cattivo”, “svogliato” o “malato” è deleterio e produrrà una reazione diametralmente opposta a quella che ci si aspetterebbe.
I genitori dovrebbero soffermarsi a pensare se proprio i loro tentativi di risolvere le difficoltà dei figli non siano peggiorativi di uno stato di cose che meriterebbe un’attenzione diversa; già Watzlawich parlava di: “tentate soluzioni disfunzionali” (Watzlawich et al. 1967). È importante focalizzarsi sul sistema di relazioni che stanno dietro un bambino, un alunno o un adolescente e su quanto queste strutture siano realmente di sostegno. Quanto gli adulti che circondano questi alunni siano adeguatamente attenti, contenitivi, comunicativi e quanto le soluzioni che essi spesso propongono invece di risolvere le situazioni possono involontariamente aver contribuito ad aumentare e mantenere il problema.
Non è l’istituzione che fa ammalare gli alunni; essi arrivano a scuola già con un bagaglio di esperienze, vissuti, storie che durante il percorso scolastico si slegano dalla loro origine prendendo strade diverse e portando a comportamenti spesso opposti a quelli originali. Un problema complesso, caratterizzabile come: “mal di scuola” che richiede un approccio multifattoriale e multidisciplinare. Occuparsene significa analizzare tutte le possibili conseguenze che il contesto scolastico può generare sul benessere del bambino soffermandosi sulla sfera emotivo-affettiva, relazionale e metacognitiva dell’alunno, andando a rilevare anche le espressioni somatiche del malessere psichico come problemi fisici, gastrici, epidermici o legati al sonno, ecc., insomma tutta la sfera della sintomatologia somatopsichica.
Utile sarebbe capire come ogni alunno esprime il suo disagio rilevandone i punti di debolezza che influenzano ed interferiscono con il suo sviluppo a livello globale e cercando quindi di ridurre gli elementi “stressanti”.
Le dimensioni più importanti sono legate alle emozioni, ai processi di crescita ed autostima, agli stili motivazionali ed a quelli attributivi, all’apertura mentale ed alla coscienziosità, alle relazioni interpersonali e per finire a quelle metacognitive e legate alle abilità di studio.
Tutti processi che influiscono profondamente sull’espressione di una sintomatologia somatica generata dal mal di scuola. Ci troviamo quindi al cospetto di un alunno che nasconde dentro di sé una realtà sociopsicologica molto ampia ma che manifesta magari col non voler andare a scuola o con comportamenti non adeguati al contesto scolastico. Pertanto qualunque ipotesi di intervento va vagliata soggetto per soggetto sulla base delle sue caratteristiche personologiche sulla scorta della sua storia di vita; una singola manifestazione somatica, psicologica o comportamentale può costituire un elemento importante di un quadro più ampio.
In conclusione è necessario, attraverso strumenti specifici, cercare di rilevare e riconoscere i vari fattori in gioco affinché l’alunno non venga visto solo come portatore di problema ma come colui che vive un disagio e non avendo gli strumenti adatti per farvi fronte lo esprime nel peggior modo possibile. Il compito della scuola è quello di supportare gli alunni laddove non esista o non sia esistito un background capace di farlo; è opportuno non banalizzare problemi, né negarli, generando confusione o peggio ancora colludendo con i genitori.
Un’azione mirata a mettere in luce i punti di debolezza e quelli di forza di ogni alunno è auspicabile affinché lo si possa indirizzare ai servizi territoriali specialistici andando ad agire a più ampio spettro anche sull’abbandono e sulla dispersione scolastica.
Per approfondire:
S. Sasso “I comportamenti disfunzionali a scuola. Uno strumento per riconoscerli e prevenirli: il QMMS” in “Psicologia e scuola” anno 31°, Mar-Apr 2011, pp.11-17
© Dott. Pasquale Saviano
Psicologo – Psicoterapeuta