SBERLE E SCULACCIONI AI BAMBINI: UNA PRATICA DISEDUCATIVA

Tempo fa le Nazioni Unite avevano proposto di vietare in modo assoluto l’utilizzo di ogni tipo di correzione fisica nei confronti dei bambini, sia a scuola che in famiglia. Proposta che è rimasta un’utopia. Sebbene numerosi passi in avanti siano stati fatti sui diritti dell’infanzia con un aumento delle Nazioni che hanno deciso di vietare tale comportamento, permane l’idea che i “castighi correttivi” siano da mettere in atto come metodo educativo “normale”. Ancora oggi esistono luoghi nel mondo ed in particolare negli Stati Uniti, nella cosiddetta Bible belt (la “cintura della Bibbia”, gli stati centroamericani) in cui gli insegnanti possono usare il paddle, la cosiddetta pala di legno di mezzo metro con la quale colpire il fondoschiena degli alunni “poco educati”. La forte influenza di queste culture si rifà al verso dei Proverbi 13-24 “Risparmia la verga e vizierai il bambino”.

Da un’analisi effettuata da associazioni per i diritti umani emerge che sono gli afroamericani a subire maggiormente le percosse, che i maschi le prendono più delle bambine e che i ragazzi di campagna sono maggiormente puniti rispetto a quelli di città. Tuttavia in America tali comportamenti censori sono scesi negli ultimi anni, a dimostrazione che qualcosa sta cambiando. Negli Stati Uniti però non è assolutamente in discussione il diritto dei genitori di alzare le mani sui figli.
In Europa la situazione è ben diversa. Qui l’uso di punizioni corporali è completamente scomparso a scuola ed ora si mira a proibire l’uso dei ceffoni anche da parte dei genitori come strumento educativo: questa la sfida delle associazioni per i diritti dei bambini.

Negli anni 80, gran parte delle Nazioni europee ha vietato tale pratica da parte dei genitori, restano però alcuni paesi dove ancora considerata un efficace strumento educativo e dove sculacciate e sberle non vengono considerate, di fatto, punizioni corporali.
L’ex insegnante, giornalista e scrittore londinese Peter Inson afferma ad esempio che se usato per il bene del bambino e non come semplici reazioni di rabbia e frustrazione, lo scappellotto può aiutare a marcare un limite inviolabile quando le parole non sono sufficienti. Egli fa degli esempi riportando comportamenti estremi dei bambini, come quello di cavalcare la ringhiera del balcone o picchiare un amichetto. Ciò che però, a mio parere, il giornalista non tiene in considerazione è il messaggio che il bambino manda mettendo in atto un comportamento estremo come il primo descritto, o anche la considerazione, nel secondo caso, che si punisce un comportamento violento con una punizione altrettanto violenta, generando confusione nel bambino e paura della punizione più che la reale comprensione del comportamento negativo.

La cosa assurda è che nei paesi democratici si continui a tenere un atteggiamento autoritario nei confronti dei figli, spesso nella convinzione che gli schiaffi siano un buon metodo educativo. Di fatto la violenza più volte stigmatizzata nei confronti delle donne, addirittura sui cani, viene considerata applicabile ai bambini solo perché essa è mascherata da un’esigenza educativa per far passare un messaggio.
In Italia la legge parla chiaro e secondo l’articolo 571 del codice penale “Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi”. È palese a questo punto che a scuola un ragazzo non debba venire punito a scapaccioni, ma è altrettanto palese che il rispetto dei diritti umani a volte sembra fermarsi davanti alla porta di casa e questo perché spesso i bambini sono considerati proprietà dei loro genitori.

Il rimpianto dell’assenza di castighi e pene corporali potrebbe essere spiegato con il fatto che si toglie uno strumento di controllo senza sostituirlo con altri. È necessario porre in essere un’educazione alla genitorialità che insegni metodi alternativi di educazione. Nei paesi dove tale divieto è già in atto da tanti anni, come la Svezia, dopo un iniziale riluttanza da parte dei genitori, oggi tutti sono d’accordo che si tratti di una metodologia inutile, ciò grazie anche a training e supporto alla genitorialità portati avanti per anni.

Sia chiaro che non si vuole assolutamente criminalizzare i genitori né c’è la pretesa di mandarli in galera perché danno una sculacciata ai figli, ma bisogna far loro capire che l’uso del ceffone rappresenta solo una soluzione temporanea e non impedisce che certi comportamenti si ripetano nel futuro, questo perché il cambiamento viene dal timore della punizione piuttosto che dalla comprensione ed introiezione della regola.
Attraverso un lavoro mirato su se stessi, capiranno che le punizioni corporali non fanno altro che generare una relazione coi figli basata sulla paura, quando invece è fondamentale che sia la fiducia reciproca ad improntare una sana relazione genitori-figli.

© Dott. Pasquale Saviano
Psicologo – Psicoterapeuta