Quarantena e panico collettivo

Il periodo che stiamo vivendo è sicuramente uno dei più strani e particolari della nostra vita. Ci siamo trovati catapultati in un mondo diverso, un mondo senza contatti sociali, un mondo non più fatto di gesti, ma solo di sguardi, di parole dette da lontano, di videochiamate e mancanze. Sicuramente non è un mondo che fa per noi, ma nonostante questo non possiamo e non dobbiamo lasciarci travolgere dall’ansia e dal panico collettivo.

 

Il panico collettivo: cos’è?

Il panico collettivo è un fenomeno che si fonda sulla dimensione psichica del contagio, su quella che Freud aveva denominato “infezione psichica”. Quale è la verità profonda che si manifesta in questo fenomeno oggi riscontrato nelle reazioni collettive alla diffusione delle notizie sui crolli delle borse, sulle difficoltà economiche di un paese o sulle minacce di catastrofici cambiamenti climatici?

Come faceva notare Freud, sul campo di battaglia il panico esplode quando il generale cade da cavallo. È la morte o il tracollo del capo a provocare il timore collettivo e lo sbandamento delle truppe. Questo perché il panico sgretola i legami e mostra ciò che la comunione euforica della massa tiene invece regolarmente occultato; la solitudine fondamentale dell’essere umano, la sua inermità, l’insecuritas che accompagna la nostra vita e che non può essere arginata da nessun sistema di difesa. Ragioniamo ancora un momento su questo passaggio. Consideriamo innanzitutto l’esistenza di una tendenza gregaria propria dell’essere umano. Erich Fromm parlava di “fuga dalla libertà” per indicare questa tendenza: unirsi, identificarsi in un gruppo, aderire ad un ideale condiviso, può significare provare a salvarsi dalla solitudine e dalla responsabilità della libertà. Il conformismo dell’identificazione a massa cementa la nostra identità promettendo illusoriamente di sottrarla al rischio della scelta individuale. Il padre-capo incarna l’ideale collettivo che garantisce identità e protezione. Se però il padre-capo, muore la massa cessa di esercitare la sua funzione di rifugio della vita.
In questo senso, il diffondersi collettivo del panico, spesso irragionevole e sproporzionato alla minaccia realmente in gioco, mostra il rovescio della medaglia dell’identificazione conformista della massa. Se questa identificazione unifica e rassicura, il panico disperde e genera smarrimento. Quando ci troviamo di fronte alla diffusione per contagio del panico, non è solo perché siamo esposti alla minaccia della malattia e della morte, minaccia che la routine della nostra vita quotidiana nasconde, ma soprattutto perché il sistema del grande Altro (per alcuni psicoanalisti sarebbe Dio per qualcun altro è invece la Comunità) che doveva proteggerci si è rivelato imperfetto, fallace, bucato, vulnerabile, incapace di assicurare quel controllo totale sul terrificante e sull’imprevedibile. È questo allora il vero cuore del problema di tutti i fenomeni collettivi di panico: il terrificante non può mai essere integralmente scongiurato. La difesa della salute, la difesa della vita dal rischio della sua caducità, così come la difesa dei confini di uno Stato, lascia sempre uno spazio vuoto, un margine di imprevedibilità. Il timore collettivo che crisi finanziarie, batteri, virus, epidemie, attacchi terroristici, cambiamenti climatici, passaggi all’atto folli provocano nella vita della massa rivelano in realtà una verità assoluta e scabrosa di cui preferiremmo non sapere niente: la vita non può mai essere integralmente protetta. La celebrazione della santità di un papa o la cerimonia di un matrimonio regale sono anch’essi fenomeni di massa che però occultano quello che invece l’esperienza del panico rivela spietatamente; essi insistono nel mostrare la potenza del grande Altro della rassicurazione e della felicità. Le masse, in questi casi, trovano la loro comunione nell’identificazione collettiva ad un ideale condiviso. Il contagio del panico invece fa cadere l’ideale, mostra il generale d’armata nella polvere, il re nudo, mostra come l’ombrello del grande Altro sia sempre troppo piccolo per proteggere la vita.

 

Quarantena: come possiamo viverla al meglio?

Questa non è sicuramente una facile domanda a cui trovare risposta. La quarantena è un periodo di costrizione dentro le nostre case, dove molti di noi avevano addirittura perso l’abitudine di stare. Quello che possiamo provare a fare è cercare di ritrovare quella piacevole sensazione dello stare a casa con i nostri cari anche se la situazione esterna non è delle migliori. Possiamo prenderci cura di loro, del nostro corpo tramite ginnastica libera, tramite una dieta equilibrata, imparare qualcosa in più rispetto a come essere autosufficienti, cucinare, dilettarci nel leggere o nell’ascoltare della musica. Possiamo provare a distrarci guardando film o restando in contatto con chi amiamo di più. Insomma, di cose da fare ne abbiamo molte per non parlare di chi lavora o di chi studia da casa. Non dobbiamo lasciarci prendere dallo sconforto perché dopo la tempesta arriverà sicuramente il sereno e come la Cina è uscita da questa situazione, anche l’Europa ce la farà, con qualche cicatrice in più rispetto a prima, qualche macchia in più nella nostra storia, ma una esperienza che forse ci farà comprendere l’importanza dell’essere uomini e ciò che ci rende tali: il contatto sociale, l’alleanza con l’altro. Non lasciamoci scoraggiare, non lasciamoci guidare dal panico più sfrenato. Stiamo attenti, restiamo a casa, prestiamo la massima attenzione, ma restiamo uomini con la nostra anima e umanità.