Dall’articolo precedente sul bioterrorismo è stato possibile farsi un’idea di quanto devastanti possono essere gli attentati di matrice islamica soprattutto se forgiati dall’arma chimica o biologica. I fedeli sembrano moltiplicarsi e i loro modus operandi paiono sfuggire alle intelligence di tutto il mondo per l’imprevedibilità con la quale vengono progettati. Entrare nella mente di un terrorista jihadista è davvero difficile soprattutto se si dovessero tener presenti le svariate forme che oggi sono radicate in tutto il mondo. Dall’occidente a all’oriente vengono reclutati continuamente soggetti che per le loro caratteristiche economiche, sociali e psicologiche accettano di far parte di una realtà costernata dalla solo condotta jihadista.
Secondo l’illustre professore Alessandro Orsini, esperto di terrorismo, le ragioni per la quali è possibile per un occidentale convertirsi alla causa terroristica nascerebbero in primis da esigenze spirituali e interiori che non possono non tenere in considerazione altri aspetti più sociologici e morali (si pensi al peso di una mancata integrazione nella società).
Nel suo modello“ DRIA” difatti egli tratta, alla prima fase del processo di radicalizzazione nelle città occidentali, il problema della “disintegrazione dell’identità sociale” ovvero quella forma di disperazione estrema nata sulla base di una crisi esistenziale che, tra le sue varianti, può portare il soggetto a radicalizzarsi. Un processo quest’ultimo complesso forgiato dalla necessità dell’individuo di identificarsi in una ideologia, in questo caso quella terroristica, capace di legiferare su tutti gli aspetti della sua vita quotidiana colmando, così facendo, degli elementi fondamentali: quelle difficoltà psicologiche ed emotive legate all’arbitrarietà delle scelte tipiche del modello liberale. Un insieme di elementi psicologici questi che, per convertire a pieno il soggetto necessitano di una corrispettiva parte sociologica in grado di alienare totalmente la sua morale ai precetti terroristici. In altre parole di un gruppo jihadista in grado di interdire i suoi freni inibitori riguardo la missione da compiere.
In conclusione quindi, secondo l’autore, l’esecuzione di una strage portata avanti da un occidentale è il frutto di una serie di processi psicologici e manipolatori, come l’isolamento e il controllo sociale del gruppo, che rendono il soggetto poco consapevole della reale portata dell’azione che sta commettendo.
Uccidere qualcuno, progettare uno sterminio di massa, non è una cosa molto semplice per una persona nata e cresciuta nella mentalità occidentale a differenza di quello che si può credere. Difatti, in difformità delle forme mentis più endogene ai luoghi di sviluppo del terrorismo islamico, le motivazioni sono più introspettive, soprattutto se si considera che alla base della conversione per esempio di un afgano o di un siriano vi siano altri aspetti più importanti come la vendetta, le ragioni economiche o le eredità culturali.
Partendo dal presupposto che non è possibile definire una linea netta, in ambito di motivazioni e modus operandi tra i diversi terroristi presenti al mondo, è ipotizzabile credere che avere delle basi criminologiche e di profiling possano essere determinanti per evitare che alcuni attentati possano avvenire. Soprattutto se, in un’ottica di “intelligence collettiva”, la società civile fosse in grado di percepire quelle “anomalie” utili a identificare qualcosa di sospetto. In altre parole, fosse consapevole di quanto importante può essere il comportamento non verbale, paraverbale e verbale del terrorista. Dall’analisi degli attentati precedenti è stato verosimile accettare che gran parte di essi potevano essere evitati attraverso una serie di elementi che risultavano essere alquanto sospetti. Se ne analizzano alcuni:
- Aspettare l’arrivo della metro senza salire a bordo;
- Un compulsivo atteggiamento atto a sistemare gli indumenti indossati a causa del peso della cintura esplosiva;
- Un ingiustificato motivo di salire e scendere continuamente dai mezzi di trasporto lasciando a bordo delle borse;
- Un’inspiegabile ansia davanti ai gates dell’aeroporto;
- L’indossare dei guanti in luoghi riscaldati o addirittura possederne solo uno per nascondere il detonatore;
- Avere delle scarpe eleganti molto sporche rispetto al vestito che si sta portando (ciò potrebbe dimostrare le vie alternative che sono state prese dai terroristi per evitare i controlli);
- Eseguire degli addestramenti militari, soprattutto aerei, senza preoccuparsi dell’atterraggio;
- Assumere un atteggiamento di rabbia o vendetta (una posizione di netta chiusura con l’esterno, una postura protratta in avanti, aggressiva e con movimenti molto irruenti e senza controllo);
- Tutte quelle anomalie che è possibile notare dal contesto nel quale ci troviamo.
Considerando l’assunto per il quale è difficile identificare un terrorista, soprattutto se è ben addestrato, e seguire uno schema lineare che possa essere applicabile ad ogni caso; è utile tenere a mente altri fattori importanti che possono risultare utili:
- La loro giovane età (la maggior parte di loro è inquadrabile tra i 20 e i 30 anni);
- Nel caso del terrorista islamico radicalizzato in occidente è possibile che abbia dei precedenti penali;
- I continui viaggi in luoghi di particolare interesse per il terrorismo jihadista;
- Persone sospette che diventano sempre più, con il passare del tempo, introspettive e lontane dai precetti occidentali;
- I principali luoghi di radicalizzazione, nel contesto occidentale, si concentrano nelle carceri e nelle sinagoghe;
- Il web continua ad essere un canale di reclutamento molto diffuso;
- L’uso di donne, soprattutto incinte, per superare più facilmente i controlli;
- L’odio verso gli altri e il mondo occidentale sembrerebbe essere l’elemento portante per commettere le stragi;
- I luoghi molto affollati rimangono i principali obiettivi;
- Fuoriescono dal vecchio prototipo del terrorista islamico (non danno nell’occhio in quanto modi di fare e di vestire);
- Armi economiche e facilmente trasportabili risulterebbero attualmente essere le preferite per poter attaccare gli “infedeli” (ciò è anche dovuto alla mancanza di ingenti risorse economiche).
Decidere di immolarsi per la causa terroristica, a differenza di quello che si pensa, non vuol dire essere “matti”, se lo fossero sarebbe più facile individuarli, ma più nel dettaglio andrebbero analizzati come persone normali, ogni tanto anche di grande cultura, coinvolte da una serie di dinamiche e motivazioni particolari che andrebbero di volta in volta individuate e studiate. Essi potrebbero presentare psicologicamente una bassa elasticità mentale e la presenza del locus of control esterno: tipico di chi crede che la responsabilità delle proprie azioni andrebbe addossata ad altri soggetti esterni.
Come è intuibile dalle righe precedenti la storia ci insegna a diventare sempre più consapevoli dei pericoli che potrebbero essere presenti nel luogo dove stiamo passeggiando o semplicemente ci troviamo per caso. Avere la consapevolezza di quanto è importante essere critici verso il mondo circostante può essere fondamentale per rilevare certi segnali sospetti utili a evitare delle stragi. La società civile, in questo senso, assume una importanza notevole soprattutto se viene preso in considerazione il modello israeliano per il quale anche un bambino viene educato ad osservare gli elementi anomali in un certo modo. Non si richiedono eroi in grado di intervenire sul fatto, sarebbe solo deleterio nel caso non si fosse addestrati, ma di occhi critici in grado di allertare le forze preposte a fermare eventi del genere.