(È possibile) Risolvere i Problemi invece di incasinarli

Risolvere i Problemi invece di incasinarli

Z

 

C’è una cosa di cui il mammifero più bizzarro dell’universo, l’uomo, troppo spesso è dimentico. Una cosa che avviene quando pensa o affronta qualsiasi difficoltà – o qualsiasi problema, impaccio, blocco, dilemma, casino, groviglio  – o come volete chiamare ciò che tutti gli uomini assaporano fin dalla più tenera età, e cioè che le cose non sempre vanno come noi vorremmo. Qualcosa che, mi pare, l’uomo trova sul suo cammino più che spesso.

 

Problemi fog

 

Ciò che l’uomo dimentica è che non c’è alcuna separazione tra se stesso ed il problema che sta pensando o affrontando. Anzi, logicamente, il problema non può neanche esistere, se non è pensato, se non è affrontato da lui, proprio perchè il problema si struttura ed inserisce nell’interazione con noi stessi, gli altri e il mondo.

E appunto l’uomo “dialoga” con i suoi problemi – e questa interazione dinamica e continua li rende in genere sempre più irrisolvibili e complicati.

Sollevare il “problema de problemi“, come io in genere lo chiamo, significa rispolverare la più antica sapienza.

Già molti secoli fa, cioè abbastanza prima che arrivassero gli psicologi con le loro mediocri sciocchezze, il sapiente riconosceva che il più grande, fra i beni, consiste nell’esser felici, ma che esso non è raggiungibile se non si apprende l’arte di risolvere problemi.

Come possiamo dimostrarci così tanto bravi da incasinare sempre tutto di più? Come succede questo miracolo dell’incapacità umana?

Tutto parte da un “piccolo errore”, che diventa, nella nostra vita, come quel piccolo errore nella definizione della rotta di navigazione, che però giorno dopo giorno finisce con il creare intere miglia di differenza tra dove ci troviamo e dove invece saremmo voluti andare (e credevamo di stare andando).

L’errore quindi avviene già all’inizio, e precisamente quando, per cercare o sperare di risolverlo, l’uomo pensa al problema: sempre pensa come potrebbe risolverlo.

Peccato che, dal momento che l’interazione con il problema è continua, più che spesso i nostri tentativi di risolverlo non solo non lo risolvono, ma lo strutturano, lo mantengono, lo esacerbano. Proprio così.

Non a caso uno dei più grandi psicologi dello scorso secolo, Paul Watzlawick, ha introdotto il concetto di Tentata Soluzione, cioè le soluzioni che l’uomo mette in atto, ma che non funzionano ed anzi trasformano una difficoltà in un problema (come la coppia che, per discutere di un’assoluta sciocchezza e chiarirla, si trova infine in una di quelle litigate con piatti rotti e urla).

Quando poi la soluzione tentata mostra la sua inefficacia, noi rimaniamo ciechi a questo risultato. Anzi, proviamo ad applicarla ancora di più, ancora di più, ancora di più.

Forse la lettrice riconoscerà il meccanismo con questo esempio: Telefonata al mio partner: Non mi risponde. Provo a richiamare. Non mi risponde. Riprovo a chiamare. Non mi risponde. Riprovo ancora. Ma ancora non risponde.

A questo punto mando un messaggio minaccioso, dicendogli che mi ha deluso e che si è dimostrato per quel che è: un insensibile bastardo che non merita il mio amore e la mia fiducia.

Non basterà scoprire che era in biblioteca a studiare (Quella biblioteca e un allevamento di troie, è per questo che ci vai!) o in una importante riunione di lavoro (quando si parla di lavoro sei sempre disponibile ma con me? Da quando non conto più nulla?).

Vedete? L’errore si trascina, mentre continuiamo a navigare, e ormai il teatro è pronto, anche per il più tragico epilogo.

E forse lui, se il meccanismo è persistente, deciderà, triste, di lasciare una donna tanto assillante. Ma a questo punto, la donzella potrà dire a se stessa: hai visto? avevo ragione! sapevo che non gli importava abbastanza di me. Non si può stare con uno così!

Vedete? a tutti piace dire: avevo ragione. A costo di dirlo con le gambe rotte ed il cuore a pezzi.

Il concetto di Tentata Soluzione è in realtà molto antico, potendosi trovare non a caso nei maestri della guerra, che di problemi da risolvere ne avevano in abbondanza. È antico ma è anche presente e futuro, se si pensa che il metodo terapeutico attualmente più efficace ed efficiente nel panorama internazionale è stato proprio messo a punto da Paul Watzlawick grazie al suo allievo ed erede Giorgio Nardone, che poi è il maestro di chi scrive, il quale lo ha sviluppato raggiungendo livelli di sofisticazione tali da permettere, con il suo lavoro, effetti  che sembrano davvero “apparentemente magici”, ma che altro non sono che l’applicazione di un modello di intervento rigoroso e flessibile allo stesso tempo. Lo stesso vale per il campo della consulenza manageriale, dove già I migliori consulenti di management (come Richard Normann) avevano compreso l’importanza del concetto, ma che poi sempre Giorgio Nardone, con la sua divisione organizzativa, ha sviluppato fino alla massima sofisticazione.

 

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PROF. FRANCESCO ‘M’ ZURLO,

PSICOTERAPEUTA, DIRETTORE STUDIO DI PSICOTERAPIA ZURLO CONSULTING

MILANO – ROMA – CROTONE

 

Nelle biblioteche, in televisione, su youtube e nei blog spopolano consigli per prendere decisioni e risolvere problemi. Adoro leggere questo tipo di cose. È come un peperoncino troppo piccante. Irresistibile nella sua completa inutilità (i peperoncini troppo piccanti non hanno alcun sapore. Il piccante si sente in gola. Quindi si elimina tutto il piacere). Così mi trovo a vedere con spirito di sorriso tutte queste sciocchezze in circolazione, che spopolano perchè offrono in genere “i 5 passi per” e quindi danno sicurezza.  Poi penso però all’ignaro lettore, che magari si affida a tali consigli, e rabbrividisco.

Per offrire al lettore un’alternativa al mare si sciocchezze in circolazione (che fungono da motore per l’entropia della stupidità) mi limiterò a poche cose.

Poche cose, ben fatte, fanno una grande differenza.

Il primo fondamentale passo è smettere di chiedere “cosa faccio ora” ed iniziare piuttosto a domandarsi “come potrei peggiorare volantariamente e deliberatamente tutto questo? Cosa dovrei fare o non fare, n o non pesare, se io volessi – per mia volontà – ingarbugliare ancora di più, incasinare ancora di più, rovinare ancora di più?”.

È una domanda bizzarra: proprio come la mente umana. Quindi cavalca il modo in cui funziona la mente, sfruttandone le potenzialità.

In genere facciamo il contrario, tentiamo di imporre alla nostra mente una supposta razionalità lineare, ed i risultati vanno nella direzione matematicamente esatta e contraria alle nostre intenzioni. In altri termini ci freghiamo con le nostre stesse mani, con le nostre azioni, percezioni, pensieri. Diventando i più accaniti oppositori di noi stessi.

Chiedersi come peggiorare cavalca invece le nostre ambivalenze. Sfruttandole e volgendole al nostro servizio.

Certo. Dopo aver pensato tutti i modi possibili per peggiorare (molti dei quali sono in genere già in corso, senza che noi ce ne rendiamo conto), eviteremo di metterli in atto, proprio perchè non solo non risolvono il problema, ma lo peggiorano.

Fare questo produce (almeno) due effetti possibili e particolari. Sappiamo questo, cioè prevediamo gli effetti, in quanto questa, che ho descritto, è proprio una tecnica strutturata, messa a punto  (“per fortuna”) dal Centro di Terapia Strategica fondato da Paul Watzlawick e Giorgio Nardone ed applicata a migliaia di casi in tutto il mondo (si chiama “come peggiorare”)

Un effetto è appunto quello di sviluppare avversione verso le proprie tentate soluzioni, cioè scoprire che molti dei modi per peggiorare il problema…. li stiamo già attuando.

L’altro effetto è il risultato di come funziona la nostra mente, cioè in modo non lineare.

Forse il lettore, da bambino, si è divertito a spingere il suo supersantos sotto l’acqua, per poi vederlo schizzare rigorosamente fuori. La mente funziona più o meno così.

Quando dunque penso a tutti i modi per peggiorare la mia mente schizza altrove, individuando i modi per migliorare.

Ma se invece mi impegnassi a trovare il modo per migliorare, e risolvere il problema, mi troverei di fronte al vuoto più totale, nutrendo la fastidiosa sensazione di essere inermi ed incapaci di far fronte alla situazione.

Per questo la tecnica – basata sullo stratagemma “se vuoi raddrizzare una cosa, trova tutti i modi per storcerla di più” – permette quindi di cavalcare il funzionamento della propria mente, invece di violentarlo per poi trovarsi tra le mani un problema ancora più grande.

Per questo il saggio dice: “l’uomo comanda alla natura obbedendole“.

Ho scritto che avrei dato poco consigli, ma scrivendo – mi rendo conto – che uno è già abbastanza, perchè “la potenza non consiste nel colpire spesso, ma nel colpire giusto”.

Non solo in campo clinico e personale, ma anche in campo organizzativo possiamo individuare l’utilizzo più o meno sofisticato di questa tecnica (ad esempio pochi sanno che è stata molto usata dal colosso General Electric).

Debbo concludere con una nota necessaria. Come dice il Maestro dei gesti e delle parole, Giorgio Nardone, a volte la fossa che ci siamo scavati e nella quale siamo caduti è troppo profonda, troppo profonda per uscirne da soli. Qui entra in gioco la psicoterapia, cioè, non a caso, “l’arte di risolvere problemi complessi con soluzioni apparentemente semplici”.

Ora, che la Z. ha guidato, o provato a guidare, il lettore fuori dal mondo delle cose sciocche, cioè “delle soluzioni apparentemente stupide ma che in realtà sono davvero stupide”, non mi resta che augurare di iniziare un buon percorso, che sia da soli o con l’aiuto di un esperto, senza drammatici errori di rotta e di navigazione, quelli che ci fanno, ad un certo punto della nostra vita, trovare al polo nord in mutande.

 

Problemi laozi

Laozi

“Un viaggio lungo mille chilometri inizia con un piccolo passo”

 

 

Note:

– Ci scusiamo con tutti coloro che dovessero usare la testa per valutare quanto descritto; suggeriamo, a riguardo, di usare l’esperienza;

– Qualche consiglio bibliografico, per lo studioso e per il curioso:

G. Nardone, A. Salvini, Dizionario Internazionale di Psicoterapia, Garzanti, Milano 2013; G. Nardone, Psicotrappole, Ponte alle grazie, Milano 2013.

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