Il recente arresto in Vaticano dell’arcivescovo Josef Wesolowski, accusato di aver abusato negli anni scorsi di diversi minori nella Repubblica Dominicana, come documentato da un reportage del New York Times nel giugno scorso, ha riportato in prima pagina il controverso tema della pedofilia.
La pedofilia, o disturbo pedofilico, seguendo la denominazione presente sul DSM-V, è una parafilia, ovvero la condizione in cui un individuo prova un forte interesse sessuale verso particolari individui, oggetti, o situazioni. Nello specifico, la pedofilia è caratterizzata dalla presenza di pulsioni, fantasie o atti sessuali nei confronti di bambini in età prepuberale, di 13 anni di età o meno. Se da un lato una parafilia non è considerata come una malattia mentale di per sé, lo diventa nel momento in cui la pulsione sessuale provoca disagio e malessere nell’individuo, o lo conduce ad attuare comportamenti dannosi verso gli altri. In questo senso è quindi espressa la definizione di pedofilia, che identifica due possibili condizioni cui far corrispondere una diagnosi. Da una parte vengono riconosciuti i comportamenti dannosi verso gli altri, nello specifico il commettere atti di natura sessuale nei confronti di bambini, mentre dall’altra ci si riferisce al disagio provato dall’individuo che sente l’interesse sessuale verso di loro, anche se non ha mai commesso atti sessuali nei loro confronti. Tale disagio può essere ad esempio un senso di colpa molto forte, dovuto alla consapevolezza che la pulsione sessuale nei confronti dei minori è una cosa sbagliata, immorale, mostruosa. Ciò può condurre a depressione, tentativi di suicidio, ma anche ad ansia sociale e attacchi di panico, dovuti alla paura di trovarsi in presenza di bambini in contesti sociali. La comparsa di queste pulsioni in genere avviene già dalla prima adolescenza, ovvero nello stesso periodo in cui gli individui sviluppano il normale interesse sessuale. Ciò vuol dire che un soggetto affetto da pedofilia sente fin da subito le pulsioni sessuali verso i bambini in età prepuberale, ed è molto raro che questo interesse si sviluppi in età più avanzata in soggetti che prima avevano un orientamento sessuale normale.
Sono stati condotti alcuni studi con lo scopo di identificare dei correlati neurali della pedofilia. La maggior parte di essi hanno identificato, attraverso tecniche di neuroimaging, dei deficit a livello cerebrale, specialmente a livello dell’ipotalamo e ad aree responsabili del controllo degli impulsi. Tuttavia, le ricerche sono poche e i risultati non abbastanza consistenti per poter stabilire con certezza quali siano le basi neurologiche del disturbo. Ciò è almeno in parte dovuto al fatto che la maggior parte dei soggetti su cui sono stati condotti gli studi sono dei pedofili “accertati” ovvero dei criminali arrestati per aver commesso abusi sessuali su minori, e molto spesso questi soggetti presentano altri disturbi mentali come psicopatia o disturbi di personalità. Questo è reso evidente, ad esempio, dal fatto che le ricerche hanno evidenziato la presenza di deficit nelle aree deputate al controllo degli impulsi. Questo dato potrebbe spiegare perché alcuni individui affetti da pedofilia mettono in atto determinati comportamenti, ma non dice nulla sulla comparsa delle pulsioni sessuali nei confronti dei minori.
A proposito delle cause non neurobiologiche, spesso si pensa che i pedofili abbiano subito delle molestie sessuali in tenera età, identificando questo trauma come causa scatenante del disturbo. Sebbene in effetti l’aver subito molestie sessuali durante l’infanzia sia considerato un fattore di rischio, l’associazione non è così forte da poterla considerare una causa determinante. Nel complesso quindi, il mondo accademico non è ancora in grado di identificare le cause che spingono alcuni individui a sviluppare un’attrazione sessuale verso i bambini in età prepuberale.
Per quanto riguarda le terapie, anche in questo caso i risultati sono inconsistenti. Le classiche psicoterapie vengono utilizzate con successo variabile, anche se esiste consenso relativamente alla “prevenzione della ricaduta”, un trattamento di stampo cognitivo-comportamentale utilizzato originariamente nel trattamento delle dipendenze. Le terapie farmacologiche note comunemente con il nome “castrazione chimica”, invece, intervengono direttamente sulla produzione ormonale (generalmente limitando l’attività del testosterone) limitando o eliminando del tutto la libido, di fatto quindi annullando la pulsione sessuale. Tuttavia questo genere di trattamento provoca nei soggetti una lunga serie di effetti collaterali che impediscono il normale funzionamento dell’individuo.
Come già accennato in precedenza, al momento il problema principale riguardante lo studio e la comprensione della pedofilia è legato al fatto che quasi tutti i soggetti su cui vengono condotti gli studi hanno già commesso abusi sessuali o altri comportamenti legati all’abuso su minori (come, ad esempio, il consumo di pedopornografia o l’esibizionismo). Quasi nulla viene fatto invece per prevenire questi comportamenti, e per aiutare quei soggetti che vivono la loro condizione con estremo disagio a controllare ed affrontare il problema.
La causa di ciò è da ritrovare nel fatto che la pedofilia è probabilmente uno dei crimini più rivoltanti e odiati dalla società odierna. Ciò, come già detto, provoca nei soggetti affetti nel disturbo un rifiuto verso se stessi e una paura che gli impedisce di rivolgersi a qualcuno per ricevere aiuto. A questo si aggiunge il fatto che, in alcuni paesi, come ad esempio in molti Stati degli USA, i terapeuti e i medici sono obbligati a riferire alle autorità di avere in cura un soggetto affetto da pedofilia, anche se tale soggetto non ha mai commesso abusi nei confronti di minori ed è fermamente convinto di non volerlo fare. L’odio feroce nei confronti dei pedofili ha così costretto questi individui ad un isolamento assoluto, caratterizzato anche dall’impossibilità di chiedere aiuto ai professionisti della salute mentale per affrontare il loro disturbo. Ciò, ovviamente, rende praticamente impossibile la prevenzione, ed è per questo che i pedofili vengono identificati quando è ormai troppo tardi, e la maggior parte delle terapie sono rivolte ad impedire che i soggetti abusino nuovamente di minori una volta scontata la loro pena.
Alcune iniziative sono partite in anni recenti negli Stati Uniti ed in Germania, presso la Johns Hopkins University e il Prevention Project di Dunkelfeld, con l’obiettivo di identificare i pedofili e aiutarli a controllare i propri impulsi, a sviluppare legami sani con i propri coetanei, e in generale aiutarli a condurre una vita normale.
Noi riteniamo che questa strada sia da percorrere con maggiore impegno, poiché agire solo quando ormai terribili crimini sono stati commessi e danni irreparabili (per la vittima, principalmente, ma anche per il carnefice) sono stati fatti, o peggio ancora nascondere la verità e coprire chi si rende colpevole di abusi sui minori, non porterà mai ad una risoluzione.
In questo senso, i passi avanti che il Vaticano ha fatto in questi ultimi tempi, fino all’arresto dell’arcivescovo Wesolowski, mostrano se non altro un maggiore interesse verso una piaga che affligge la Chiesa, così come altre organizzazioni, da troppo tempo.
Riconoscere il problema è il primo passo verso la sua soluzione.
(Illustrazione di Simon Prades, originariamente pubblicata all’interno dell’articolo “You’re 16. You’re a Pedophile. You Don’t Want to Hurt Anyone. What Do You Do Now?” di cui consigliamo la lettura per approfondire alcuni argomenti trattati in questo articolo. AVVISO: l’articolo, in lingua inglese, contiene alcuni passaggi molto forti che potrebbero disturbare il lettore.)