La figura paterna, che rompe il sodalizio madre-bambino, ha la funzione di distogliere il bambino da un vissuto di totale e continua disponibilità della figura materna.
Se la fusione madre-bambino si protrae nel tempo il padre ne è escluso o si auto-esclude, il rapporto di coppia ne risente creando un vuoto in cui il bambino si annida con il consenso della madre e la complicità del padre (figli che dormono nel lettone e padri sul divano che rinunciano al proprio ruolo di partner e alla propria funzione di oggetto-separatore).
Nell’affermare questo ruolo paterno molto incide l’atteggiamento della madre, ovvero la sua disponibilità ad includere il partner nel dialogo esistente tra lei ed il bambino, di citarlo, di ricordarlo e riconoscerlo come presenza significativa ed autorevole.
Diventa importante, inoltre, che la madre presenti un’immagine forte e degna di stima del padre in quanto per il bambino questo rappresenterà un elemento di grande importanza per la formazione del senso di sicurezza nelle proprie capacità e di autostima. L’essere amati, compresi, guidati da qualcuno che si reputa di valore ha un impatto più positivo sullo sviluppo dell’identità del bambino rispetto al crescere con un’immagine di un genitore che sia stato ripetutamente svalutato e ridicolizzato dall’altro.
Già durante la gravidanza egli è chiamato a svolgere una funzione contenitiva, condividendo con la sua compagna le ansie e le preoccupazioni che le trasformazioni corporee della gestazione possono generare, così come sarà chiamato, alla nascita del figlio, a svolgere una funzione protettiva per la delicata esperienza della coppia madre-bambino. L’idea tradizionale di padre può influire negativamente in questa fase creando distanza.
L’intimo avvicinamento dei padri all’esperienza della maternità può, da un lato far emergere sentimenti più espliciti di tenerezza e condivisione, dall’altro può far affiorare un naturale senso di esclusione, se non di gelosia o di invidia, sentimenti a cui è spesso difficile dare una collocazione.
Dal punto di vista femminile l’aiuto paterno, seppur sollecitato, viene in determinati casi vissuto come un’invasione di campo. È una reazione abbastanza comune dopo il parto che se esasperata può trasformarsi in quella che è stata definita “la sindrome della leonessa”.
La sindrome della leonessa è una distorsione della percezione delle cose e degli avvenimenti che circondano una mamma e la fanno diventare ossessivamente gelosa come una leonessa con i suoi cuccioli. Il paragone con la leonessa viene proprio dal modo in cui questo animale vive il rapporto con la propria prole: estremamente possessiva e protettiva, anche a costo della vita. La gelosia nei conforti di un neonato è normale, ma in alcuni casi può diventare patologica e causare nella madre un irrefrenabile istinto a tenerlo tutto per sé, nascondendolo dagli altri.
A volte la gelosia è così forte da considerare pericoloso addirittura il partner.
In una situazione simile si giunge rapidamente a un tracollo dell’equilibrio di coppia, perché l’arrivo di un bambino, benché evento stupendo per entrambi i genitori, porta comunque a una destabilizzazione iniziale, a causa dello sconvolgimento delle abitudini quotidiane e dell’inizio di grandi responsabilità da assumere.
Mentre alcune madri si rendono conto del loro atteggiamento esageratamente protettivo e geloso nei confronti del proprio figlio, altre tendono invece a esacerbarlo, convinte di agire nel modo corretto e giudicano invasivi e inopportuni i consigli da parte di parenti ed amici.
Le donne che vivono la sindrome della leonessa si pongono quindi in fase di difesa, pronte ad aggredire chiunque attacchi il loro cucciolo, anche se la “minaccia” dovesse provenire dal padre.
Le giustificazioni che le stesse donne danno del loro comportamento, denotano un totale distaccamento dalla realtà: hanno, infatti, paura che i propri figli possano essere contagiati da batteri e malattie portate da parenti o amici che potrebbero avere le mani sporche e toccano il bambino; temono che il neonato possa trovarsi a disagio tra le braccia di qualcun altro e che l’unico posto sicuro sia restare nel grembo materno; sono gelose delle troppe attenzioni da parte di terzi intenzionati ad “usurpare” l’affetto materno.
La rabbia che si genera verso gli altri, la gelosia patologica e l’ansia che coglie una madre affetta dalla sindrome della leonessa vanno oltre il semplice istinto materno di difesa.
Il marito, o compagno, di una donna affetta da sindrome della leonessa, dovrebbe cercare una comunicazione diretta, rassicurante, protettiva, con lei, la cui morbosità è probabilmente dovuta ad una insicurezza di fondo, legata alla nostalgia della gravidanza e al momento di felicità, gioia e aspettative vissute in quella circostanza.
Il sentimento predominante nel padre è il sentirsi escluso: esclusione sia dal rapporto madre-figlio che dalla coppia coniugale, il quale viene messo a dura prova dalla lotta per ritrovare una nuova intimità.
Laddove c’è una leonessa escludente, però, spesso c’è un leone che non riesce a reinserirsi nel nuovo menage.
Questo accade perché avviene uno spostamento del focus di attenzione che mette l’uomo in crisi rispetto alla sua importanza per la compagna. Se i sentimenti di inadeguatezza che si vengono a formare sono supportati da una personalità insicura del nuovo padre, o da un esempio maschile altrettanto esitante vissuto nella propria famiglia d’origine, le difficoltà a ritrovare la propria collocazione saranno maggiori.
Per i papà, i cambiamenti dettati dall’arrivo di un figlio sono più faticosi e difficili da accettare in quanto, a differenza di una donna, ha una minore possibilità di prepararsi adeguatamente a livello emotivo alla nascita del bambino, perché non vivono sulla propria pelle la gravidanza. La preparazione c’è, ma è sempre ideale e non concreta come il sentire il bimbo nella propria pancia. Inoltre la maggior parte delle donne hanno la possibilità di allattare al seno e questo aiuta le mamme a creare rapidamente un legame emotivo e fisico con il piccolo, mentre i padri possono contribuire soltanto artificialmente.
Rimane, dunque, di fondamentale importanza che il papà instauri fin da subito un legame con il proprio figlio. Per fare questo è importante anche dedicarsi semplicemente al cambio di un pannolino o ad una passeggiata con la carrozzina.
Costruire un rapporto personale con il proprio figlio, fin dai primi vagiti, aiuta i papà a non sentirsi esclusi da questo nuovo menage familiare e la collaborazione della mamma è essenziale.
E’ necessario dare importanza alla coppia, parlarsi e non dimenticarsi che è la coppia ad aver scelto di avere un figlio ed è la coppia il fondamento basilare di una famiglia.
Riuscire a passare del tempo insieme, nonostante la stanchezza, e recuperare un minimo di intimità aiuta i neo genitori a non sentirsi esclusi dal rapporto di coppia. La serenità emotiva, fisica e sessuale dei genitori è alla base della serenità del nuovo arrivato.
Il padre non è semplicemente la luce che illumina la diade madre-bambino ma è, assieme a loro, l’essenza di un quadro in cui ogni singola parte ha senso solo in relazione alle altre.
Dott.ssa Ivana Siena
Psicologa e Psicoterapeuta a Pescara e Foggia
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