Recentemente ho avuto il piacere di condividere la gioia per la nascita della figlia di una cara amica e di conoscere la piccolina di ventuno giorni, accanto a me c’era mio marito e la nostra bambina di neanche un anno e mezzo. Tornando a casa mi sono riaffiorati alla mente un sacco di ricordi, sensazioni, odori, di quei primi momenti insieme a nostra figlia, le nostre prime volte.
Ricordo quando mi hanno dato per la prima volta la scricciolina tra le braccia, è stato un tempo brevissimo ma molto intenso.
Ricordo un corpicino tutto raggomitolato e caldo, ho avuto il tempo di sussurrare qualche parola d’amore e poi via al controllo pediatrico di routine per lei e le ultime manovre ostetriche di prassi per me.
A casa con mio marito, lei ed io, è stato un turbinio di emozioni.
Ricordo quando passeggiavo per il corridoio con la piccolina dentro la vestaglia, tutta stretta stretta, cantavo a bassa voce, inventavo anche le parole, per tranquillizzarla quando piangeva o semplicemente per godere entrambe della presenza.
Ricordo che tra me e mio marito adottavamo modalità differenti per rassicurarla, ma l’idea era unica, la nostra piccolina doveva godere del nostro calore e noi del suo.
Ricordo quando rimanevano abbracciati a contemplarla con gli occhi umidi e stupiti della meraviglia che l’essere umano riesce a creare.
Ma ricordo che il nostro primissimo mese è stato anche un periodo complicato, una commistione di dubbi, incertezze, fatiche, stanchezze, frustrazioni, sensi di colpa, paure di non fare bene, paure di non fare abbastanza, paure di non aver capito le indicazioni.
Un senso di confusione ronzava nella mia testa costantemente, per i pensieri che si accavallano, per la deprivazione di ore di sonno, per lo sbalzo ormonale, per il corpo materno che ancora una volta cambia e pian piano riprenderà a funzionare normalmente.
Oggi con lo sguardo al passato di quasi un anno e mezzo fa penso che tutto passa, che le cose pian piano si superano, penso a come sia stupefacente che i genitori trovino dentro di se forze e risorse per dormire poco e sorridere con il loro piccolo capolavoro tra le braccia.
Ma mi sento anche di invitare i neo genitori a non aver paura di domandare, di domandare quando non si è compreso bene, quando qualcosa preoccupa, quando semplicemente si vuole avere una rassicurazione o una conferma.
Non ci sono domande superflue o poco intelligenti. Non è una vergogna piangere e concedersi lo spazio di raccontare anche le emozioni e i pensieri negativi.
Perché il riconoscimento del proprio ruolo genitoriale, così come il riconoscimento a livello emotivo del proprio figlio non è un tasto da premere in modalità ON, ma è un cammino più o meno lento e più o meno consapevole.