NELLA MENTE DI UNA FUTURA MAMMA

Con i suoi enormi sconvolgimenti sia fisici che psicologici, la gravidanza rappresenta per una donna un momento di passaggio così impegnativo da non poter essere paragonato a nessun altro momento della sua vita.
Il corpo si trasforma per adattarsi alla presenza di un altro individuo così come il forte impatto sulla vita psichica influenza l’idea che la donna in attesa ha di sé.
Addirittura si pensa che i turbamenti emotivi della donna durante la gravidanza potrebbero avere ripercussioni sulla futura personalità del bambino. Gli studi psicologici si sono da sempre focalizzati sullo sviluppo del bambino e sulla sua crescita, tanto che negli ultimi anni si sta ponendo l’attenzione anche sulla vita psicologica del feto. È infatti impossibile riferirsi al periodo prenatale senza considerare le modificazioni psicologiche che avvengono nella donna in gravidanza. Una commistione di sconvolgimenti fisiologici, fisici, ormonali, psicologici, ecc. mettono a dura prova l’identità della donna che sta per diventare madre.

Nel 1956 lo psicanalista inglese Donald W. Winnicot si focalizzò su una caratterizzante ipersensibilità della madre nei confronti del nascituro, a cui diede il nome di: “preoccupazione materna primaria”, un tipico atteggiamento delle madri in attesa che somiglia ad una malattia ma non lo è. A ciò si riferisce, sempre negli anni ‘50, Il pediatra Ted Berry Brazelton che ha rilevato nelle future mamme un sentimento di ansia elevato e costante che può sembrare patologico. Egli temeva che questi elevati livelli di ansia e preoccupazione potessero provocare difficoltà nella relazione di cura del bambino, salvo poi la capacità di queste madri di rivestire il proprio ruolo adattandosi perfettamente ad esso ed alle esigenze del figlio. Un po’ controcorrente invece la visione sviluppata nel 1979 dallo psichiatra Paul-Claude Racamier che rileva come in questo periodo la donna tenda ad essere più autocentrata, a vedersi meglio e ad amare indistintamente il proprio corpo ed il proprio bambino come se esistessero solo lei ed il feto in un rapporto con gli altri più indifferenziato. Egli parla di “maternalità” per descrivere i processi psichici che caratterizzano la gravidanza.

La gravidanza mette a nudo l’inconscio e trasforma l’identità della donna che si prepara a diventare madre: questa è la visione della psicanalista Monique Bydlowski che ha usato la definizione di “trasparenza psichica” che caratterizza le donne incinte in uno stato di richiesta d’aiuto che può provocare un’attitudine maggiore al transfert psicanalitico. I ricordi relativi ai propri vissuti, soprattutto quelli traumatici vengono portati fuori senza le resistenze e le rimozioni abituali. La gravidanza porta la donna a mettere in atto profonde modificazioni psicologiche; ella ha la necessità di entrare in contatto con uno sconosciuto che porta in grembo e solo al termine di questo percorso riuscirà a vedersi come madre trasformando la sua identità. Un lavoro psichico colossale di cui è difficile capirne lo svolgimento e l’evoluzione tante sono le implicazioni biologiche e psicologiche.
Nel caso della gravidanza “la relazione d’oggetto”, ossia quel tipo di relazione che ogni individuo intrattiene con il mondo e con gli altri, subisce delle modifiche poiché nasce una confusione tra il proprio Io e l’Io dell’altro che allo stesso tempo è sia altro da sé che parte di sé (perché portato dentro). Secondo Racamier lo status psichico della donna in gravidanza è molto simile a quello psicotico proprio perché caratterizzato da questa scissione dell’Io. La differenziazione tra sé e gli altri deve tenere conto durante la gravidanza della presenza del bambino cioè di “quell’innesto” biopsichico del concepito. Ciò porta alla nascita del concetto di “identificazione psichica” dello psicologo Sylvain Missonnier secondo il quale la gravidanza impone un processo di integrazione psichica. Man mano che la donna entra nel processo di indifferenziazione Sé-altri e l’innesto biopsichico prende piede inizia il periodo della gestazione psichica vera e propria alla quale segue l’attività di rappresentazione mentale che si sviluppa nella gravidanza.

Secondo le ricerche portate avanti da Massimo Ammanniti e dai suoi colleghi nel 1999, l’immagine del bambino si afferma progressivamente nella mente della madre così da permetterle di costruire un’immagine differenziata del proprio bambino al quale attribuisce caratteristiche e qualità ereditate da diversi membri della famiglia, come il temperamento, cosa che si stabilisce soprattutto in base ai movimenti del feto nell’utero (si muove molto, o poco, è tranquillo o irrequieto, ecc.). Lo stile relazionale a volte viene anticipato dalle aspettative della donna e può anche essere conflittuale (un bambino che si muove troppo, sarà molto irrequieto e quindi darà filo da torcere alla mamma). In altri casi queste rappresentazioni possono essere bloccate (soprattutto quando la madre ha paura di creare una rappresentazione del nuovo bambino e di legarsi ad esso dopo aver sperimentato la perdita di un figlio).

La gestazione psichica può influenzare il rapporto che si instaurerà tra madre e bambino perché ella comincerà a costruire il suo ruolo differenziandosi da quello della propria madre oppure identificandosi con essa ed immaginando il tipo di rapporto che la legherà al suo bambino. Il rapporto che la donna costruisce anticipatamente nella sua mente potrà essere realista, cioè immaginandosi mentre tiene il bambino tra le braccia cercando di non essere troppo protettiva come la madre, agitandosi all’idea di non capire i pianti del piccolo, il tutto organizzato in un insieme coerente e ricco. Al contrario potrebbe svilupparsi un tipo di rappresentazione anticipatoria in cui la futura mamma investe poco in termini emotivi soprattutto nel suo ruolo di madre legandolo a quello con la propria madre che giudicava rigida e poco affettuosa. Questo tipo di identificazione la porta a vivere la gravidanza in modo distorto e distante.
La presenza di un feto nel proprio grembo porta la donna a riflettere su se stessa, ma anche su come accogliere e prendersi cura del nascituro, materialmente ed affettivamente. Fin da questi momenti è inoltre possibile capire la qualità della relazione di attaccamento e rilevare i prodromi di eventuali problematiche future potenzialmente dannose per il legame madre-figlio.

La psicologia clinica perinatale si è focalizzata molto sull’importanza della nidificazione e della gestazione psichica come fattori necessari per lo sviluppo di una buona gravidanza. Ad esempio certe donne negano la gravidanza non rendendosi conto di essere incinte. In questi casi la nidificazione e la gestazione psichica non avvengono perché si sviluppa una difesa psichica che appunto è la negazione che consiste nel rifiuto di un corpo estraneo (in questo caso il concepito) nel proprio spazio corporeo e psichico della donna. La mancata presa di coscienza dell’avvenuto concepimento spesso coinvolge anche il corpo: il ventre resta piatto anche al sesto mese e la donna si “accorge” di essere incinta solo al momento del parto. In questo caso la partoriente prende coscienza di qualcosa che neanche immaginava con stupore e spesso paura. Nel caso di un feto morto la tendenza spesso è quella di occultare tutto e gettarlo via. Nei casi di un bambino nato vivo può accadere che la madre lo dia in adozione o nel migliore dei casi “scatta” qualcosa dentro di lei che la porta ad accettare il nascituro sviluppando con lui un rapporto all’apparenza ordinario. La mancata accettazione del bambino è legata comunque ad una personalità psicotica, in cui esiste una forte scissione col proprio corpo e con qualunque cosa ne faccia parte. Ma tale negazione può anche essere legata ad un trauma, un abuso subìto, si pensi alle gravidanze che avvengono a seguito di uno stupro. Una donna vittima di stupro non può accettare il frutto di un trauma, per lei è “inconcepibile” tanto da non riuscire a sviluppare la gestazione psichica in una sorta di protezione del bambino da meccanismi ostili nei suoi confronti.

Nel rapporto madre-figlio è spesso possibile trovare una certa continuità tra le problematiche relative al periodo della gravidanza ed il rapporto dopo la nascita. È chiaro che ciò non è generico anche perché dall’interazione nascono diverse modalità di approcciarsi della madre al bambino che variano anche man mano che il piccolo cresce. Infatti se prima tutto nasceva e si costruiva nella mente della madre più o meno capace di sviluppare una relazione con qualcosa che non reagiva (perlomeno non in modo autonomo), al momento della nascita la comunicazione e quindi la relazione è bidirezionale e diventa reale.

In definitiva: la psicologia perinatale è una disciplina alquanto recente, ma ci porta a dire che le circostanze in cui il bambino viene concepito hanno una forte ripercussione sul rapporto che si svilupperà tra madre e figlio prima e dopo la nascita. La conseguenza è che esso influenzerà forse anche lo stile di attaccamento del bambino ed il suo sviluppo psichico. È quindi importante tenere in grande considerazione l’aspetto psicologico della gravidanza, ma soprattutto aprirsi e confrontarsi con uno specialista appena si rilevino le avvisaglie di un qualsiasi malessere in un periodo di forti cambiamenti psichici e fisici nella donna.

Per approfondire:
Bayle B., L’embrione sul lettino. Psicopatologia del concepimento umano, Edizioni Koinè, 2005

© Dott. Pasquale Saviano
Psicologo – Psicoterapeuta

 

 

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