MEDICO O PAZIENTE?

Come tutti gli esseri umani anche i medici sono soggetti a problemi di salute, fisica e psichica. Se per un medico a volte è possibile giungere ad un’autodiagnosi e predisporre una cura, quando ci troviamo di fronte al disagio psichico non sempre è facile affrontare il malessere ed uscirne da soli. Nasce quindi l’esigenza di rivolgersi ad un collega con tutti i dubbi e le remore che ciò comporta. Forte in questi casi è la necessità di “spogliarsi” dei panni di medico per “vestire” quelli di paziente. Bisogna quindi avere la capacità di operare una netta separazione dei ruoli che spesso cozza con il lavoro psicoterapeutico che dovrebbe favorire la ricerca di un Sé unitario.

Curare i medici è sempre più difficile rispetto ad altre categorie di pazienti. Questo perché molto spesso un medico presenta tratti di personalità ipocondriaci che lo rendono di per sé un paziente difficile. In alcuni casi, alla base della scelta della carriera medica potrebbe esserci proprio la paura delle malattie.
Quando ci si riferisce alla componente prettamente fisica, tutto sommato il rapporto tra medico e medico-paziente non presenta particolari complicazioni. Si cerca di accordarsi sulla diagnosi e sulle terapie da seguire, si cercano compromessi e si tenta di unire le forze contro un male esterno, una patologia, un malessere da sconfiggere. Quando però il focus si centra sul disagio psichico entrano in gioco altre variabili, prima fra tutte l’accettazione del disagio.

Ancora oggi una malattia psichica viene vista come un fallimento (depressione, ansia, attacchi di panico, disturbo bipolare, ecc.), ancor più quando a soffrirne è uno specialista preposto a curarlo (psicologo o psichiatra che sia). Si vive nella visione distorta secondo la quale i mali psichici siano attribuibili a situazione ambientali che pensiamo di dover modificare senza interventi esterni. Pertanto la relazione terapeutica deve avere come scopo quello di favorire il riconoscimento del disturbo, una sua accettazione, ed alla fine, un trattamento psicoterapeutico o farmacologico, oppure combinato.

Essere medico con i propri pazienti e paziente con il proprio medico sembra essere la soluzione migliore al fine di recuperare un Sé unitario. Una necessaria chiarezza nelle relazioni che però prevede una buona capacità di essere padrone del proprio essere medico e una buona disponibilità a vedersi dall’altra parte del tavolo, un equilibrio insomma tra le due posizioni. Ciò è possibile nella misura in cui i due professionisti abbiano entrambi le capacità personali di riconoscere ed accettare i propri ruoli, cioè la capacità del paziente di accettare il ruolo “dominante” del medico e quella del medico di controllarsi nell’esercizio del suo “potere”. Avere a che fare con un paziente medico (psicologo o psichiatra) diventa difficile soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo ed il mantenimento di una sana alleanza terapeutica, a meno che non si raggiunga un accordo per il trattamento del disturbo di uno dei due.

Tutto sarebbe più facile se alla base della formazione professionale del medico-paziente ci fosse stato un training psicoterapeutico (ma questa è un’altra storia). Da non sottovalutare, infine, le caratteristiche del terapeuta, ad esempio una sua possibile identificazione con il collega “malato” che lo potrebbe indurre in errori di valutazione.

© Dott. Pasquale Saviano
Psicologo – Psicoterapeuta

 

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