L’URLO SILENZIOSO DEI GIOVANI

Quasi quotidianamente oramai si sentono parlare i media di “disagio giovanile” come una delle tante problematiche che affligge il tessuto sociale contemporaneo. Il bisogno di una maggior assistenza psicologica per intervenire precocemente sulle situazioni di difficoltà è affare condiviso all’unanimità dai rappresentanti di ogni parte politica (anche se di investimenti per i dipartimenti di salute mentale se ne vedono ben pochi). È evidente che nel post-pandemia il disagio giovanile ha assunto forme sintomatiche di maggior gravità, generando un incremento significativo di richieste di assistenza specialistica sia in ambito privato che pubblico. Basti pensare che gli accessi in pronto soccorso per problematiche psicologiche/psichiatriche, così come il numero di ricoveri ordinari nei reparti di neuropsichiatria infantile e psichiatria dell’adulto, è vertiginosamente aumentato (Boiardi , Mapelli, Arcari, & Maggiolini, 2022). Potremmo definirla a tutti gli effetti una “pandemia psichica”. I servizi di salute mentale delle aziende sanitarie locali, a causa della perenne mancanza di personale e di un modello territoriale che probabilmente non è più in grado di rispondere adeguatamente ai bisogni clinici espressi dall’utenza, fanno fatica a offrire prestazioni assistenziali omogenee capaci di incidere efficacemente sulle difficoltà portate dai pazienti. I titoli dei giornali di fronte ai quali giustamente ci scandalizziamo rappresentano solamente il punto finale di arrivo di un percorso di sofferenza che si è strutturato in maniera graduale. Le misure adottate per far fronte alla pandemia hanno certamente avuto un’influenza negativa sulla salute psichica dei giovani (Minozzi, Saulle Rosella , Amato, & Davoli , 2021), i quali si sono trovati a dover affrontare un paradosso: se prima del covid venivano accusati di stare troppo al cellulare e ai videogiochi, da un giorno all’altro questa accusa si è trasformata nell’unica strada percorribile per restare in contatto con il mondo al di fuori delle mura domestiche. Gli stessi adulti che prima accusavano i giovani di non vivere più la vita in maniera “fisica e attiva”, sono gli stessi che con l’isolamento proibivano una passeggiata all’aria aperta; un’ambivalenza psichica molto difficile da gestire per un giovane.

Difendersi dal trauma

Il primo tempo del trauma è stato il tempo della chiusura, dell’isolamento, dell’interruzione della quotidianità, di una spaccatura tra un prima e un dopo. L’avvento del covid ha segnato in maniera traumatica la vita di ogni individuo rompendo la continuità dell’esperienza interna soggettiva. Durante questo primo tempo ognuno di noi ha messo in atto meccanismi psichici difensivi a scopo protettivo . Lo slogan “andrà tutto bene”, così come il cantare sui balconi insieme ai vicini o il ritrovarsi in spazi virtuali come skype o houseparty (app che spopolò durante il lockdown), non sono altro che il tentativo di far fronte alla negatività che inevitabilmente il trauma  porta con sé. Meccanismi di difesa evoluti e quindi in grado di dare una forma tollerabile a ciò che genera dolore, supportano l’individuo nell’elaborazione delle esperienze traumatiche (McWilliams, 1994).

Ci sono però situazioni nelle quali gli individui non dispongono di meccanismi di difesa in grado di gestire adattivamente gli stressor ambientali. Situazioni nelle quali l’equilibrio appare talmente instabile e precario che è come camminare su un filo sottilissimo appeso tra due grattacieli: anche il minimo soffio di vento può far cadere. I giovani che prima del covid possedevano un equilibrio psichico precario, con l’arrivo della pandemia hanno iniziato gradualmente a sentir vacillare le proprie fondamenta. Ed ecco che il secondo tempo del trauma, coincidente con il ritorno alla “normalità” pre-pandemia, si configura come il momento in cui il trauma prende vita nei sintomi psicopatologici, nella sofferenza vera e propria. Il primo tempo del trauma rompe la continuità psichica del soggetto ma solo in un secondo momento se ne possono apprezzare le caratteristiche fenotipiche. Il ventaglio sintomatico che il post pandemia offre è molto ampio e abbraccia sia la sfera esternalizzante che quella internalizzante. Per quanto riguarda la prima assistiamo ad un maggior abuso di sostanze, agiti impulsivi ed esplosivi di rabbia, self cutting e ricorso all’aggressività fisica. Dall’altro lato troviamo il ritiro sociale, il distacco da ogni forma di legame, anedonia, apatia, fino al rifugio nella psicosi schizoideica. Sono forme talmente eterogenee che le attuali categorie diagnostiche non riescono ad essere dei “contenitori” esaustivi. Il ritiro sociale viene spesso accompagnato dall’iperinvestimento sulla realtà online, fatta di comunicazioni via chat e videogame multiplayer in live che frequentemente assolvono il ruolo di una realtà costruita ad hoc per non avere a che fare con la vita che c’è fuori dalla propria stanza. Una vita e una realtà che per molti giovani è diventata confusiva e alienante a tal punto da doverla negare nel peggiore dei casi in maniera psicotica, utilizzando difese estreme quali il ritiro e il diniego come unici meccanismi difensivi in grado di creare una stabilità alternativa, molto più facilmente gestibile sul piano psichico.

Di fronte ad un “terrore senza nome” direbbe Bion (1962), l’unica sopravvivenza è quella del rifiuto estremo della vita e della conseguente costruzione di un mondo diverso capace di donare l’illusione del controllo totale, anche della vita stessa (perdo una partita? Ne avvio una nuova. Il mio personaggio muore? Non ha importanza perché tornerà in vita o posso crearne uno nuovo). I giovani in difficoltà sembrano trovare nella realtà del web il soddisfacimento, sia reale che simbolico, ai loro desideri interiori; un atto che nella realtà ontologica è più complicato da realizzare. Questo dona l’illusione che il proprio sé sia in grado di controllare e dominare tutto ciò di cui si fa esperienza. Il sé ideale trova una via di espressione nel web dentro al quale i difetti, le fragilità, le singolarità di ogni individuo sono tenute ben nascoste allo sguardo altrui, con lo scopo di affermare la propria corrispondenza ai criteri imposti dalla società.

Il buio della propria stanza

Il padre di un giovane ragazzo mi raccontò di quando una sera dovette chiamare l’ambulanza per la moglie (gravemente malata da tempo) e che, dopo aver accompagnato i soccorritori fuori di casa, al suo rientro trovò il figlio seduto sulla spalla del divano sul quale era distesa la madre, completamente assorto nello schermo del suo cellulare. Di fronte al fantasma della morte della propria madre, quale poteva essere per il ragazzo l’unica  via per sopravvivere al dolore mentale se non il rifugio in una “realtà parallela”? Non a caso l’esordio sintomatologico acuto è avvenuto poco dopo la sua morte. Da li in poi il giovane si è progressivamente allontanato dalla realtà, cercando riparo nei propri videogame giocandoci fino a tarda notte. Il padre lo descriveva come apatico, senza interessi, molto chiuso in sé stesso e con un atteggiamento oppositivo di fronte ad ogni suo tentativo di approccio genitoriale.

Nei casi come quello appena descritto, il ritiro assume una importante valenza difensiva e adattiva: “un ritiro che protegge l’ideale dell’io dall’incontro con una realtà corporea e relazionale inaccettabile[…] Un ritiro a difesa della sopravvivenza psichica, che consente di trovare una tregua, di sopravvivere al dolore suscitato dalla vergogna, che travolge come uno tsunami la mente e il cuore dell’adolescente […]. La rete è un abile alleato contro il rischio di cadute psicotiche, in quanto tiene ancorato il pensiero e svolge un’importante funzione controfobica rispetto allo sguardo proveniente dall’altro” (Lancini, 2019, p. 197-205). Rinchiudersi nella propria stanza funge da controffensiva verso ogni possibile ferita narcisistica derivante dall’essere esposto al mondo esterno. L’adolescenza è il delicato momento del cambiamento, della metamorfosi fisica e psichica. In un tempo dove si è maggiormente vulnerabili nei confronti del giudizio, appare chiaro come mai il ritiro sociale stia rapidamente diventando la cifra del disagio adolescenziale. Il conflitto tra un io reale e un’ideale dell’io che molti giovani sembrano sperimentare durante questa fase di vita, probabilmente affonda le radici in una società contemporanea che mal tollera il senso di colpa, la frustrazione e tutti quegli affetti in grado di mettere in discussione la propria autostima. Resta però un nodo cruciale: senza esperienza della perdita, della vergogna e della colpa non ci può essere nessuna solida strutturazione identitaria in grado di proteggere in futuro il sé da esperienze di vita avverse. Il reale è sempre di per sé traumatico, quello che conta è se siamo in grado di tollerarlo e dare una nuova forma al dolore. La capacità di colmare in modo sano il vuoto psichico che certe esperienze di vita possono lasciare deve per forza passare attraverso il lavoro psichico del lutto. Saper lasciare andare e accettare che le cose non sono più come prima (o come noi le vorremmo) è certamente doloroso e faticoso ma crea degli spazi di pensiero dentro ai quali si può essere liberi di poter scegliere quale nuova strada intraprendere.

Forse l’unico modo di arginare questo disagio è quello di riaccendere simbolicamente ma anche realmente la luce in queste vite immerse nel buio della propria stanza così da rendere la vita stessa degna di essere vissuta al meglio di quello che ogni singola persona possa fare. L’urlo degli adolescenti di oggi non dovrebbe rimanere confinato dentro ad uno schermo. Forse il compito degli adulti è quello di accompagnare i giovani verso l’unica e sola partita che valga la pena giocare: la partita della vita.

Bibliografia

Bion, W. R. (1962). Apprendere dall’esperienza. Roma : Armando Editore.

Boiardi , A., Mapelli, A., Arcari, A., & Maggiolini, A. (2022). La domanda d’aiuto psicologico. La descrizione dei problemi nelle richieste al Centro di consultazione e psicoterapia del Minotauro. Scritti, Istituto Minotauro, 26-37.

Lancini, M. (2019). Il ritiro sociale negli adolescenti . Milano : Raffaello Cortina .

McWilliams, N. (1994). La diagnosi psicoanalitica. Roma (2011): Astrolabio Ubaldini Editore.

Minozzi, S., Saulle Rosella , Amato, L., & Davoli , M. (2021, Maggio). Impatto del distanziamento sociale per covid-19 sul benessere psicologico dei giovani: una revisione sistematica della letteratura. Recenti Progressi in Medicina, 112(5), 360-370.