La multiculturalità in classe è qualcosa con cui l’istituzione scolastica si è trovata a cimentarsi già da diverso tempo. La presenza di stranieri nella scuola italiana è divenuto qualcosa di sempre più reale che oggi vede dei numeri in costante crescita che non si sono mai fermati negli anni.
La scuola deve diventare il primo contesto sociale di promozione della cultura dell’integrazione tra diverse etnie, religioni e costumi, ma se essa fallisce in questi obiettivi può diventare luogo in cui nascono e si acutizzano pregiudizi e comportamenti di esclusione e rifiuto. A seconda delle classi di riferimento esistono comportamenti, credenze ed atteggiamenti legati a fattori cognitivi e fasi evolutive che spingono i bambini verso un modello di integrazione o al contrario di esclusione.
Una prima consapevolezza etnica emerge intorno ai tre anni circa. I bambini che risiedono in comunità multietniche sono capaci di distinguere la diversità dell’altro dal colore della pelle. Solo a 4-5 anni si sviluppa una prima fase di preferenza etnica che si basa innanzitutto sull’interesse, forte in questo momento, verso i membri del proprio gruppo; cosa questa non negativa e che non indica la nascita dell’antipatia per un gruppo di un’altra etnia.
Il pregiudizio etnico vero e proprio nasce intorno ai 6-7 anni e può essere influenzato dal grado di identificazione col gruppo di appartenenza sociale. Ciò non è infatti solo legato ai non appartenenti alla propria etnia ma più in generale ai membri di altri gruppi e quindi al gruppo esterno. Se nel gruppo di appartenenza è forte il pregiudizio esso influenzerà anche il singolo proprio sulla base del grado di identificazione che egli avrà col gruppo. Le influenze sono molteplici: norme della classe, valori e modelli educativi degli adulti di riferimento, desiderio del bambino di conformarsi alle aspettative di compagni, adulti, ecc.
I flussi migratori e di conseguenza l’aumento di bambini appartenenti a diverse culture porta oggi di fronte ad una nuova emergenza educativa che porta a sua volta a riflettere sul fatto che la semplice educazione all’interculturalità non è più sufficiente, è necessario oggi utilizzare modelli integrati basati sull’educazione alle diverse culture ma che vadano ad incidere anche sulla relazione e sul senso di appartenenza al gruppo affinché venga promossa la condivisione di obiettivi e scopi comuni superando pregiudizi e conflitti.
Lo scambio fra culture, la crescita personale, una serenità scolastica che favorisca gli apprendimenti nasce proprio da una maggiore conoscenza dell’altro, della sua vera identità ed umanità. Il semplice contatto fra culture non favorisce il superamento del pregiudizio, anzi in alcuni casi, può creare ancora più distanza poiché favorisce la nascita di sottogruppi etnici che aumentano il rifiuto dell’altro ed il conflitto con esso. Infatti è ciò che spesso accade negli istituti o nelle classi in cui si vede la formazione di gruppi etnici che si tengono a debita distanza con la volontà di mantenere la propria identità culturale e senza alcuna intenzione di favorire l’integrazione.
La necessità di favorire interdipendenza, cooperazione ed empatia tra le persone è ormai chiara. L’obiettivo deve essere quello di favorire le relazioni sociali in classe, fin dai primi approcci dei bambini con la scuola al fine di trasmettere anche fuori la cultura dell’uguaglianza, dell’accettazione e dell’integrazione dell’altro. Per fare ciò è necessario stimolare la curiosità verso quella diversità di cui non si conosce nulla così da valorizzare sia la componente cognitiva che quella affettiva che accompagnano l’esperienza di conoscenza.
Sicuramente l’integrazione degli alunni è il primo passo per favorire un’integrazione dei cittadini di domani. Le politiche ed i tentativi estremi di rifiuto dell’altro, diverso da sé non favoriscono assolutamente una società libera e che sia capace di crescere ma portano alla nascita ed all’alimentazione di un odio sempre più forte verso chi è diverso.
Per approfondire:
E. Menesini, E. Guazzelli, V. Dianda “L’integrazione multiculturale: il modello delle TRE C” in “Psicologia e scuola” anno 31°, Sett-Ott 2011, n.18, pp.17-23
© Dott. Pasquale Saviano
Psicologo – Psicoterapeuta