L’uomo si distingue dagli altri animali perché possiede l’auto consapevolezza. Siamo coscienti di quello che ci accade qui e ora. Non solo, siamo anche capaci di anticipare degli eventi, cioè di immaginare le conseguenze future delle nostre azioni. Ovviamente la nostra auto consapevolezza non è solo rivolta al presente e al futuro, il passato gioca un ruolo fondamentale nella genesi dei nostri pensieri e delle nostre sensazioni.
Come sosteneva Kant, uno degli elementi chiave su cui l’uomo costruisce l’intero apparato dei suoi pensieri è il tempo.
Il tempo è un flusso continuo che danza tra il passato, il presente e il futuro. La consapevolezza del tempo ci permette di navigarlo in tutte le direzioni o di stazionare su dei momenti a nostra scelta. Non siamo costretti a seguire il suo fluire in divenire, andare sempre nella direzione del futuro. L’uomo può tornare indietro con il pensiero a fatti del suo passato, può trattenere quei momenti nella testa per tutto il tempo che desidera, può collegare tra loro periodi distanti, può inventare relazioni tra gli eventi basate sulla contingenza temporale e può utilizzare quelle relazioni per ipotizzare il futuro. Insomma, la consapevolezza permette all’uomo di giocare con il tempo.
L’uomo però è impreparato a gestire questa sua qualità. È vittima di una bizzarra piega dell’evoluzione che gli garantisce l’autocoscienza ma non l’apparato psicologico necessario per affrontare i problemi che ne derivano.
La consapevolezza del passato lo trasforma in album di ricordi di cose che erano ma non sono più, questo può causare rimorsi, rimpianti o nostalgia. La consapevolezza trasforma il futuro in uno spazio vuoto da riempire di realtà belle e brutte, di cose che potrebbero accadere ma potrebbero anche non verificarsi mai, oppure potrebbero manifestarsi solo per un breve futuro. Il futuro è la terra delle possibilità è questo può causare ansia.
Ci rammarichiamo di cose che non abbiamo fatto ieri e temiamo che non faremo nemmeno domani. L’attenzione per il passato e il futuro ci rende insensibili al flusso costante del presente.
I rimpianti e le aspettative sono il pegno che l’uomo paga per aver rinunciato all’ingenuità animale e aver sviluppato la consapevolezza. Dovremmo imparare a gestire questa caratteristica evolutiva senza venirne travolti. L’unico scudo contro il malessere causato dal tempo è vivere il presente.
Ciò non significa eliminare dalla vita qualsiasi forma di progettualità o di ricordo: significa definire i confini del presente.
In ogni istante della nostra vita viviamo un pezzo di presente che ha un inizio e una fine, quelli sono i suoi confini. Solo quando saremo in grado di riconoscerli chiaramente potremo utilizzare l’esperienza come utensile del pensiero anziché venirne sopraffatti.
Facciamo l’esempio di una relazione amorosa terminata. Per qualche anno quella storia d’amore è stata il nostro presente, ma oggi il nostro presente è un altro. Se non impariamo a riconoscere questi confini rischiamo che quella storia del passato fluisca oltre i suoi confini influenzando negativamente la nostra attuale relazione e catalizzando pensieri disfattisti per il futuro. Invece, quando i confini del presente sono ben definiti, quella relazione passata diventa pura esperienza, non si insinua nel nostro presente contro la nostra volontà e possiamo utilizzarla per crescere.
Il presente è il tempo del corpo. Imparare a definire i confini del presente significa imparare ad ascoltare il corpo. Dal passato e dal futuro arriveranno sempre dei pensieri involontari, proveranno a distrarci e a imporre al nostro presente un tempo che non gli appartiene più o non gli appartiene ancora. L’unico modo per chiudere a essi la porta è concentrarsi sulle sensazioni che esistono qui e ora. Tutto il resto è solo un’elaborata costruzioni mentale.