La libertà viene solitamente analizzata ritenendo opportuno specularla secondo azione: potendo agire in una determinata maniera, o in un’altra, sono teoricamente libero. Siamo maggiormente avvezzi ad analizzare le cose a seconda della loro utilità: questo mi serve per produrre qualcosa, questo mi serve per godere di qualcos’altro. Altresì cerchiamo e troviamo la bellezza in quello che utilizziamo, e nelle cose che ci circondano in generale, a seconda del loro poter essere necessarie, o no, a qualcosa di secondo: per questo, alcuni ritengono che la bellezza di ciò che esiste, risieda nel loro poter essere utili, e quindi, nel loro essere necessarie.
“Voglio imparare sempre più a vedere la bellezza nella necessità delle cose: così diverrò uno di coloro che rendono belle le cose” –Nietzsche, La Gaia scienza, 276
Digressioni a parte, in questo scritto ci occuperemo di guardare la libertà in quanto se stessa, in quanto necessitante di se stessa per poter essere. In altre parole, prima di prendere in analisi qualsiasi tipo di azione esplicitabile secondo libertà, tenteremo di essere meno miopi e relazionare la libertà stessa a se stessa. Cercheremo di non guardare con la coda dell’occhio.
Mi piacerebbe introdurre quest’elucubrazione facendo parlare, per un momento, Kierkegaard:” Scegliere è soprattutto una espressione rigorosa ed effettiva dell’etica”. Dialetticamente parlando, possiamo esplicitare il significato latente dietro il morfema “libertà” come “possibilità di poter scegliere di”.
Speculando secondo teoresi, la libertà(possibilità di poter scegliere di) sarebbe quindi, aristotelicamente parlando, l’avere tutto in potenza: poter compiere qualsiasi tipo di azione incoercibilmente. Ciò, consequenzialmente, contempla anche la possibilità di poter tornare sui propri passi, magari dopo aver optato per una scelta considerata a posteriori opinabile. In questa maniera possiamo scegliere altro.
Quest’azione quasi algoritmica diviene meno oleosa se dovessimo teorizzare che, nella libertà intesa come possibilità universale(possibilità di poter scegliere di), sia contemplato anche il poter essere: giungiamo in questa maniera ad analizzare la “possibilità di poter scegliere di poter essere”. Speculando su questa, è inoppugnabile suddividerne l’analisi in due diramazioni dicotomiche, a seconda di chi si voglia essere: essere se stessi, quindi possibilità di poter scegliere di essere se stessi, o non essere se stessi, quindi possibilità di poter scegliere di non essere se stessi.
“L’io è libertà! Ma la libertà è il momento dialettico nelle determinazioni di possibilità e necessità.” -Kierkegaard, La malattia mortale
Kierkegaard liquiderà la questione della possibilità di scegliere di poter essere dicendo che non è possibile né essere se stessi né non poterlo essere. Questo accade, come ci spiega, nel primo caso poiché l’uomo non riesce a trovare se stesso tra i vari possibili; nel secondo caso poiché non è possibile essere altri che “Io”.
Da ciò deduciamo come la libertà, analizzata come possibilità di poter scegliere, impliciti, come teorizzato prima, anche un’universalità nella sua scelta: si può scegliere tutto. Ciò però contraddice il concetto stesso di libertà quando in quel “poter scegliere tutto” si implicita anche la possibilità di poter scegliere di poter essere, che, come abbiamo visto, risulta impossibile ed illogica. La conseguenza diretta di questo ragionamento è quindi che, la libertà, sotto un piano meramente dialettico, risulta opinabile, compromettente.
Interessante è sapere come Erasmo da Rotterdam, sicuramente in un altro contesto, differente dal nostro, associ alla felicità il voler essere ciò che si è. Collegandolo a quanto abbiamo visto con Kierkegaard, arriveremmo ad una constatazione sconcertante: per l’uomo è impossibile essere felice, dato che non può essere se stesso.
“[…]la felicità consiste nel voler essere ciò che si è[…]Singolare bontà della natura di aver fatto tutte uguali tante cose diverse!” –Erasmo da Rotterdam, Elogio della Follia, 22
Ora puntiamo gli occhi verso la libertà contemplata nel mondo contingente, cercando di esplicitare ciò che abbiamo analizzato dialetticamente: in che maniera viene resa atto la possibilità di poter scegliere? E’ qui che la frase di Kierkegaard detta in apertura assume spessore: scegliere è un’espressione dell’etica. La problematica risiede nel fatto che, a sua volta, l’etica sia condizionata da due fattori morali: il bon ton, ossia il rispettare gusti di costume propri della società nella quale si vive, e l’hegeliano diritto, inteso come la sfera dei rapporti giuridico-formali dove l’uomo si comporta come persona astratta. Vi sembra libertà questa?
[divider] Altre mie pubblicazioni: https://independentscholar.academia.edu/SimoneSantamato