Alla base di numerosissimi sogni, che spesso sono colmi d’angoscia e hanno per contenuto il passaggio per ambienti stretti o la permanenza nell’acqua, stanno fantasie sulla vita intrauterina, sulla dimora nel ventre materno e sull’atto della nascita.
L’interpretazione dei sogni, 1900 (6. Il lavoro Onirico – E. La rappresentazione per simboli nel sogno altri sogni tipici), Opere, Vol. 3
Le esperienze prenatali vivono in noi, anche se inconsciamente, perciò risulta di fondamentale importanza il ruolo dei fattori di sostegno affettivo, emotivo e sociale presenti nel contesto di vita dei futuri genitori.
In ambito prenatale la ricerca scientifica dimostra che il feto è dotato di vita psichica, di memoria e di sensorialità.
Il feto infatti attraverso gli organi di senso ha già a disposizione dei tipi di canali aperti verso il mondo esterno. In particolare, il tatto è il primo organo di informazione, basta pensare al liquido amniotico che circonda il bambino e alla capacità del feto di muoversi in questo liquido. L’organo dell’olfatto entra in funzione durante il secondo mese di gravidanza; il bambino dopo la nascita riconosce l’odore della madre, perché ne ha già esperienza, si tratta di un ricordo. Il gusto invece entra in funzione entro il terzo mese, mentre l’udito completa la sua struttura tra il secondo e il terzo mese di gravidanza.
Durante il periodo prenatale, questo organo, riceve numerose stimolazioni che provengono dal mondo esterno e dall’interno del corpo materno. L’utilizzo, da parte della madre, di un linguaggio dolce favorisce lo sviluppo dell’udito e accresce lo stato di sicurezza e di fiducia. Tra il quarto e il sesto mese comincia a funzionare l’organo della vista; il feto infatti non si trova nell’oscurità ma vive all’interno di una variazione di tonalità luminose e cromatiche che dipendono dalla stagione, dal clima e dallo stato d’animo della madre. Il feto ha anche esperienza del battito cardiaco materno, l’ascolto di quest’ultimo, in stato di tranquillità, quieta il neonato. Oltre a questo è anche in grado di memorizzare, è dotato cioè di capacità cognitive e di apprendimento, e di provare emozioni.
Tracce dell’esperienza del nascere, e anche prenatali, sembrano verificarsi nei sogni e negli eventi fisici (R. Laing).
Il figlio ha bisogno, fin dalla vita intrauterina, di genitori che gli parlino amorevolmente. La costituzione positiva della triade impostata in modo sufficientemente buono, dal punto di vista affettivo e relazionale influisce beneficamente sul futuro della relazione genitori-bambino, ma anche sul futuro del bambino stesso.
Come afferma A. Mercurio, l’Io del feto è estremamente sensibile, infatti qualunque atteggiamento materno che non sia rispettoso del figlio lo ferisce profondamente. Quando la madre non desidera un figlio non gli offrirà un utero accogliente, e il feto che sta nell’utero spesse volte è costretto a subire delle violenze, come ad esempio il rifiuto che ha la madre nei suoi confronti.
Tra il bambino e la madre, oltre al contatto fisiologico, si instaura una comunicazione profonda che permette loro di cogliere segnali di affetto o di rifiuto. Nel contatto prenatale, la voce, la musica, il canto assumono un’importanza particolare, in quanto il nascituro li percepisce. Vediamo infatti che il neonato ha la capacità di riconoscere voci e suoni di cui ha avuto esperienza prima della nascita. Inoltre, bisogna tener presente che il vissuto intrauterino del bambino permane in lui e ne influenza il suo futuro.
Con l’espressione “attaccamento prenatale” gli studiosi si riferiscono al particolare legame che i genitori sviluppano verso il feto durante la gravidanza.
Winnicott fu il primo a rilevare come la comunicazione che si instaura tra la madre e il feto è determinante per l’importantissima relazione di attaccamento e per il successivo sviluppo psichico del bambino.
Il legame che si instaura tra l’adulto di riferimento e il bambino, chiamato appunto “attaccamento”, è stato ampiamente descritto da John Bowlby, Psichiatra e Psicoanalista. Egli prese le distanze dalla Teoria Psicoanalitica classica per focalizzarsi sulla relazione madre-bambino.
L’attaccamento rappresenta una predisposizione biologica del bambino verso il caregiver, colui che gli assicura la sopravvivenza, la figura di “attaccamento” che si prende cura di lui. Bowlby, nonostante fosse membro della società psicoanalitica, si distacca dall’approccio psicoanalitico classico, il quale afferma che il legame che il bambino e la madre instaurano sia frutto di una spinta motivazionale solo secondaria al soddisfacimento dei bisogni fisiologici. Ciò che invece afferma Bowlby è l’esistenza di una motivazione intrinseca, cioè il bisogno da parte del bambino di contatto e vicinanza che rappresenta la più esplicita manifestazione dell’attaccamento.
La teoria dell’attaccamento elaborata da Bowlby è frutto di uno studio accurato e si è sviluppata grazie a contributi provenienti dagli studi etologici, dalle teorie evoluzionistiche, e ancora dalla rielaborazione di alcuni concetti appartenenti alla teoria psicoanalitica.
Successivamente questa teoria è stata anche arricchita da Mary Ainsworth e collaboratori (1978) e da altri studiosi (Main, Kaplan e Cassidy, 1985).
Esistono quattro diverse fasi che delineano lo sviluppo del legame di attaccamento tra il bambino e l’adulto significativo:
- Prima fase (0/2 mesi), caratterizzata da comportamenti di avvicinamento e segnalazione. Il bambino produce i segnali di attaccamento (sorriso, pianto, vocalizzazioni) per attirare a sé qualunque essere umano; questi segnali rappresentano dei richiami che soddisfano il bisogno del bambino di vicinanza e cura. Solo in un secondo momento il bambino impara a riconoscere le persone che si occupano di lui (grazie alla vista e all’olfatto).
- Seconda fase (3/6 mesi), caratterizzata da comunicazioni dirette verso l’adulto di riferimento (essenzialmente la madre). In questa fase il piccolo è in grado di distinguere figure familiari e figure sconosciute.
- Terza fase (6 mesi/2 anni), caratterizzata da segnali di mantenimento della vicinanza. Proprio in questa fase si manifesta la paura dell’estraneo e l’ansia da separazione che segnalano la capacità del bambino di riconoscere la propria figura di attaccamento. Ancora in questo periodo si struttura il legame di attaccamento vero e proprio.
- Quarta fase (dai 2 anni in poi), si sviluppa una relazione basata sullo “scopo programmato” (set-goal). I bambini adottano comportamenti intenzionali, pianificano i propri obiettivi. Si stabilisce un rapporto non più unidirezionale ma reciproco in cui il bambino comprende le emozioni e i sentimenti della madre e si adatta alle sue esigenze. Inoltre, si manifestano anche altre forme di attaccamento che sono influenzate dal legame di attaccamento instauratosi tra il bambino e l’adulto significativo.
La relazione di attaccamento si consolida nella seconda metà del primo anno, ma si fonda su una pregressa storia interattiva tra il bambino e la figura di accudimento. Esistono dei segni, universalmente presenti, che ci aiutano a capire se la relazione di attaccamento si è instaurata, il primo segno di natura emozionale è l’ansia da separazione, altro segno è il comportamento della “base sicura”; il bambino si muove intorno al caregiver mantenendolo al centro dell’esplorazione.