A cura del Prof. Daniele La Barbera – Professore ordinario di Psichiatria, Direttore U.O.C. di Psichiatria Azienda Policlinico Palermo
La riflessione sugli effetti delle tecnologie della comunicazione sulla mente e sulla cultura di massa, per quanto affascinante, risulta complessa e difficile, talmente pervasiva e strutturale è divenuta la loro presenza nella nostra vita, al punto da influenzare profondamente non solo molti processi psichici ma anche il modo stesso attraverso cui guardiamo la realtà.
Nonostante questi aspetti problematici, credo che molti oggi abbiano la certezza – o quanto meno il ragionevole sospetto – che nella percezione delle due attuali situazioni traumatiche ed emergenziali, la pandemia e la guerra in Ucraina, siamo stati fortemente influenzati dal grado estremo di mediatizzazione che, per entrambe, ne sta caratterizzando gli sviluppi e gli esiti. Se questa osservazione appare scontata e inevitabile – dato che la rappresentazione di un evento ne condiziona fortemente il processamento emotivo e cognitivo – meno immediato risulta il tentativo di comprendere per mezzo di quali modalità i dispositivi tecnologici favoriscano l’affermazione e la propagazione di punti di vista ampiamente dissonanti rispetto a delle evidenze largamente condivise e della cui veridicità non sembrano esistere motivi concreti di dubbio o perplessità.
Direi che proprio gli ultimi due anni hanno visto l’emergere con molta più forza e chiarezza rispetto al recente passato di interpretazioni della realtà minoritarie ma in grado di proporsi con grande veemenza aggressiva e con supponenza assoluta delle proprie inoppugnabili ragioni, in forte e inemendabile contrasto con le narrazioni mediatiche condivise. Si riflette poco sul fatto che tali letture alternative, propagatesi estensivamente e a volte in maniera confabulatoria su ogni ambito delle questioni pandemiche e adesso trasferitesi senza soluzione di continuità alla guerra russo-ucrainica (con una netta presa di posizione a favore di Putin e delle sue motivazioni) sono intensamente alimentate da un altro specifico aspetto dell’evoluzione del sistema dei media, cioè a dire la sua orizzontalizzazione sempre più spinta che decentra i canali informativi, li deistituzionalizza e li mette nelle mani di chiunque, attraverso un uso ben congegnato dei Social, voglia propagare – seppure a volte in discreta buona fede – la propria versione dei fatti, la propria personale verità, anche in contrasto con situazioni e contesti che appaiono del tutto chiari, evidenti e indiscutibili.
Ma chi deve ricondurre questi medesimi fatti a un’unica e preconcetta verità possibile, non ammettendo altre eventuali spiegazioni o interpretazioni che contraddicano i suoi presupposti ideologici, ha ormai un’arma apparentemente infallibile a propria disposizione: negare l’evidenza, accusare di falsità anche le immagini e le notizie che meno si prestano a essere messe in discussione, chiamare in causa la manipolazione di notizie e immagini, come se la nostra vita e quella degli altri fosse diventata un grande circo virtuale, un immenso palcoscenico mediatico dove è possibile simulare qualsiasi aspetto della realtà, ove soltanto pochi eletti, a differenza della maggioranza di idioti che si affidano ingenuamente ai media istituzionali di tutto il mondo, hanno la capacità di discernere il vero dal falso, il reale dal virtuale. Una posizione così estrema suscita sgomento per le sue numerose implicazioni; ritenere infatti che i governi di quasi tutto il mondo, le televisioni di quasi tutto il mondo, le testate giornalistiche più accreditate di quasi tutto il mondo siano tutte protagoniste di un colossale inganno informazionale planetario va anche oltre i peggiori incubi orwelliani.
Perché una cosa è sostenere che la libertà di stampa è difettuale in molti paesi dell’occidente (Italia compresa) altra è affermarne la totale assenza a causa di una sistematica falsificazione del reale volta a favorire gli interessi di pochi gruppi di potere mondiali. Più che la faziosità ideologica d’annata, credo che in queste letture estreme entrino in gioco ingenue modalità paranoicali al servizio di una forte gratificazione narcisistica che spinge i pochi a sostenere le tesi con le quali sono convinti di avere sventato il grande inganno cosmico di cui i molti non si rendono conto…Con i risultati che da due anni sono davanti agli occhi di tutti i cosiddetti “idioti”: il CoVid non esiste, i vaccini fanno male, ci sarebbero le cure ma non celodicono, e, più di recente: Putin è il paladino della lotta all’imperialismo contro i regimi corrotti dell’occidente e il difensore delle libertà democratiche di tutto il mondo, i soldati Russi in Ucraina non uccidono nessuno, anzi sono loro a essere ammazzati e gli ucraini si uccidono tra di loro, si bombardano da soli e mettono in scena finti massacri di civili a scopo propagandistico.
Credo che tutto ciò possa trovare spazio nella mente di alcune persone anche perché da alcuni anni il confine tra reale e virtuale è diventato sempre più impalpabile; dal momento in cui il virtuale, la simulazione, la finzione debordano sempre di più nella realtà e la imitano e la riproducono in modo egregio e confusivo (un attore che recita la parte di un insegnante che diventa presidente della repubblica per caso, che dopo poco diviene “realmente” presidente della repubblica) questo contribuisce a mettere in crisi il concetto stesso di realtà (e di verità) e porta a dubitarne e a sentirsi autorizzati a coltivare i propri dubbi, fino a mettere sistematicamente in discussione tutti gli eventi reali che potrebbero costringere a rivedere le proprie idee, pregiudizi e visioni del mondo. Dall’altra parte l’evoluzione dei media, portando gli occhi delle telecamere in ogni anfratto del reale, ha direttamente causato un tale eccesso di visibilità di questo stesso reale, da determinare per compenso il dubbio pervasivo se tutto quello che vediamo non sia di fatto una falsificazione organizzata, cioè se questa realtà continuamente violata dall’occhio tecnologico non tenda alla fine a perdere i suoi caratteri costitutivi della consistenza, autenticità e verità; un fenomeno che potremmo chiamare telenegazione, estremamente utile e opportuno per chi abbia voglia di costruire delle verità alternative a quelle che sembrano reali, o almeno riconosciute tali dalla maggior parte della gente. Così, in modo simile, mentre la potenza delle tecnologie digitali ci mette nelle condizioni di sperimentare forme di realtà aumentata, all’interno di questi processi psicomediatici si afferma oggi la realtà diminuita, cioè la tendenza a sfoltire il reale di tutti quegli elementi dissonanti con la propria visione immodificabile delle cose o che costringerebbero a cambiarla se la si dovesse accettare o, semplicemente, creerebbero disagio o imbarazzo. Jean Baudrillard, sociologo e massmediologo geniale e raffinato, scrisse che la televisione stava uccidendo la realtà; forse egli stesso non poteva immaginare quanta verità profetica era contenuta in questa affermazione e quale deriva incredibile questa uccisione avrebbe causato.
Prima tra tutte l’emergere del complottismo contemporaneo, che, sotto il profilo di quello che abbiamo detto, è riconducibile a fenomeno tipico della post-modernità e della evanescenza del reale che inevitabilmente la caratterizza. Con il risultato che avremo sempre più bisogno dei “fact checker”, i certificatori di realtà, i soli che già oggi ci possono dire se una cosa è vera o è il prodotto di una manipolazione tecnologica, se è accaduta veramente o è il frutto di un foto-videoshopping. Ma temo che neanche loro potranno arginare il fiume in piena delle post-verità, le verità pret-a-porter, le verità che piacciono a me, quelle per le quali un altro genio del passato avrebbe icasticamente osservato: “così è, se vi pare”!