Ci sono domande sempre più comuni che ricevo dai non addetti ai lavori, ma anche da chi soffre di un disagio psichico e non sa se affrontare o meno un percorso psicoterapeutico: “Può essere utile un percorso psicoterapeutico?”, “I farmaci non possono essere una soluzione migliore, più immediata e più duratura e soprattutto più economica rispetto ai costi di una psicoterapia?”. Si tratta senz’altro di domande legittime che vanno però affrontate a più livelli e con chiarezza di informazioni.
La scientificità dei percorsi psicoterapeutici ha ormai preso piede da numerosi anni ed interessa l’intera comunità degli psicoterapeuti al fine di elaborare criteri comuni di cura per rinforzare la validità delle teorie e rendere più efficienti le cure. La “ricerca in psicoterapia”, basata su metodi empirici, è diventata importantissima al fine di validare teorie e tecniche, percorsi di cura che adottano diverse metodologie. Tuttavia a causa delle notevoli e ragionevoli difficoltà metodologiche non è facile effettuare indagini; ma anche dare risposte affrettate sul funzionamento delle psicoterapie è qualcosa da cui guardarsi.
Fatti salvi i problemi metodologici le ricerche hanno dato dei risultati positivi rispetto all’efficacia delle psicoterapie; almeno per quelle maggiormente “studiate” (cognitive e comportamentali). Il primo e unanime giudizio riguarda la percentuale di successo elevata e che supera di gran lunga le remissioni spontanee soprattutto nei gruppi di patologie legati all’ansia ed alla depressione, a ciò si aggiungono gli effetti pari o superiori rispetto agli psicofarmaci soprattutto nel tempo.
Anche gli effetti sul versante neurobiologico sono stati abbondantemente studiati. Infatti con tecniche di risonanza magnetica funzionale (fMRI) sono stati messi in correlazione i successi della psicoterapia con variazioni funzionali di alcune aree del cervello. Apriamo a questo punto una parentesi sul fatto che ogni terapia ha il merito di condurre a risultati di una certa rilevanza. È convinzione diffusa che per ogni tipo di patologia un approccio terapeutico sia più funzionale rispetto ad un altro. Tuttavia non si dovrebbe trascurare il fatto che gli sperimentatori, seppure in buona fede, tendono a sovrastimare i risultati conseguiti dall’orientamento a cui appartengono.
L’effetto curativo della psicoterapia è ascrivibile a più fattori: il metodo di trattamento influisce per l’8% (Norcros, Beutler e Levant, 2006) mentre la maggior rilevanza è data dal terapeuta, dal suo stile, dalle sue doti “umane”, esperienze di ascolto e disponibilità, nonché dal rapporto che si instaura col paziente (relazione terapeutica). Ed infatti c’è ampia concordanza sul peso prognostico favorevole rispetto all’alleanza terapeutica, la fiducia verso la figura del terapeuta, la sua disponibilità, la condivisione degli obiettivi, ecc.
Non è facile incasellare metodologicamente concetti che appaiono in psicoterapia e che caratterizzano i fatti della vita dell’individuo: genitori, traumi, conflitti, insomma il suo passato, ma soprattutto la capacità e la modalità di riattualizzarlo attraverso la narrazione. La storia tra terapeuta e paziente fa parte del processo, non è possibile un’operazione “da manuale”, ma solo la relazione tra due individui.
In conclusione la ricerca empirica ha dato dei risultati confortanti sulla reale validità di un percorso terapeutico, di quanto parlare della propria sofferenza psichica con un terapeuta “qualificato” sia vantaggioso, ma allo stesso tempo una riflessione si pone sul fatto che se l’esito della terapia dipende dalla qualità del terapeuta e dalla relazione tra lui e il paziente è indubbio che non può determinare ad oggi quale sia l’orientamento psicoterapeutico più efficace e per quale patologia sia raccomandabile.
Per Approfondire:
M. Fornaro, Le psicoterapie curano? La ricerca empirica in psicoterapia e i suoi risultati, in Psicologia Contemporanea, n° 208, lug.-ago. 2008, pp. 20-25.
© Dott. Pasquale Saviano
Psicologo – Psicoterapeuta