Il ruolo paterno negli anni ha subito diversi ed enormi mutamenti. È passato da quello di “padre padrone” di alcuni anni fa (legato ad una cultura per certi versi arretrata) ma ancora oggi presente in alcune parti del mondo. Una figura che tendeva e che tende ad imporre il proprio volere credendo che sui figli abbia dei diritti superiori. La relazione era totalmente asimmetrica, Un padre che quasi non aveva rapporti con i figli se non per picchiarli, screditarli o comandarli. Non c’era un rapporto empatico, si disinteressava quasi dei propri figli, senza neanche prenderli in braccio in pubblico.
Nonostante esistessero anche soggetti meno violenti o meno “padroni” comunque il rapporto padre/figlio per molti anni è stato un rapporto “formale” in cui il confronto soprattutto con i figli adolescenti era legato a pochi scambi e neanche tanto profondi né centrati su problemi che ai figli potessero interessare, il contatto fisico soprattutto con i figli maschi era evitato.
L’evoluzione culturale della società ha portato anche a nuovi papà che mettono in atto un rapporto con i figli più “materno” diventando complementari a quella figura materna che ha sempre avuto un ruolo preponderante nella vita dei figli. Li vediamo ai corsi preparto, occuparsi dei neonati cambiando pannolini e dando loro il biberon.
Tuttavia non tutti i papà sono a loro agio in questo nuovo ruolo paterno e spesso si mettono in discussione portando alla nascita di dubbi circa la loro reale capacità di entrare in relazione con i figli anche rispetto all’età, al sesso, limitando quindi quegli interventi carichi di un’affettività che seppur involontariamente potrebbe essere minata.
Altra categoria sono i genitori separati, quei papà che devono gestire la relazione con i figli sulla base di sentenze e decisioni legali. I bambini spesso vengono affidati alle madri limitando di fatto la tipologia di rapporto tra padri e figli e andando ad intaccare quell’intensità e quella profondità che molti padri vorrebbero. I litigi, le accuse, le recriminazioni sono all’ordine del giorno e chi più ne soffre sono i figli.
Per questi papà la relazione con i figli sembra non essere mai completa, spesso si affannano per creare qualcosa di concreto, di completo. Ma molto spesso ciò è legato al proprio giudizio su di sé di non essere dei bravi papà. È proprio questa convinzione che dovrebbe essere sfatata.
Cercare di entrare in empatia con un figlio dovrebbe essere la cosa più naturale che un padre possa fare, entrare in relazione con quella parte del figlio che lo caratterizza come ha caratterizzato il padre quando aveva quell’età gli permetterà di mettersi al suo livello regredendo ritrovando quell’animo infantile che molto probabilmente ha dimenticato ma che è lì pronto a venire fuori. Ciò è ovviamente più semplice quando si ha a che fare con bambini piccoli ma è possibile anche con ragazzi un po’ più grandi che possono essere riportati ad un piano più ludico infantile da condividere insieme oppure si possono trovare insieme a loro interessi e attività da condividere.
Per approfondire:
G. Gallino, “A spasso con mia figlia” in Psicologia Contemporanea, n.162, Nov.-Dic. 2000 pp.4-11
© Dott. Pasquale Saviano
Psicologo – Psicoterapeuta