Il gioco: tra bellezza e utilità

Quanti di noi da bambini hanno amato giocare? Quei momenti ricreativi rappresentavano il nostro mondo, nel vero senso della parola. Ancora oggi, da adulti, molti di noi desiderano svagarsi con i propri figli, con i propri nipoti, dedicargli del tempo anche se molto difficile. Insegnanti, genitori, educatori hanno infatti sempre meno occasioni per potersi fermare, per poter dimenticare le frustrazioni e dedicarsi così ai bambini. Tutto ciò non andrebbe assolutamente sottovalutato. I rischi che i piccoli corrono non giocando sono molteplici. Di fatto, l’attività ludica aiuta il bambino a definire i confini del proprio corpo, a comunicare il proprio mondo emotivo, a verificare ed elaborare il proprio mondo fantasmatico, ad attenuare le tensioni, a sviluppare un senso di competenza. In sostanza, dunque, il gioco è fondamentale per lo sviluppo della personalità.

IMPORTANZA E TIPOLOGIA DI GIOCO

A discapito di ciò che si possa pensare, il gioco è un fenomeno molto complesso che viene studiato da diverse scienze come l’antropologia, la pedagogia, la filosofia e via dicendo. Sin dai tempi più antichi, di Platone e di Aristotele, si affermava che il gioco fosse una vera e propria preparazione alla vita futura e andasse utilizzato per educare. Negli anni successivi l’attività ludica iniziò ad essere considerata in funzione del suo significato più profondo e delle sue finalità. È così che si giunse a comprendere come essa potesse essere fondamentale all’interno di un processo terapeutico. Due grandi autori della psicologia, Freud e Winnicott, affermavano che il gioco fosse un’attività auto-terapeutica poiché permetteva di elaborare le separazioni, di sviluppare relazioni sane e di compensare il senso di impotenza del bambino. Molto spesso, infatti, attraverso l’attività ludica, il bambino “capovolge i ruoli” ponendosi lui stesso nella posizione del grande che punisce e controlla. Come si può intuire, quindi, il gioco di finzione, di invenzione dei personaggi e di assunzione di ruoli, riveste un alto valore terapeutico. La prima psicologa ad utilizzare il ludus come strumento terapeutico fu Hug-Hellmuth che nel 1919, consapevole delle difficoltà che i bambini affrontavano in un intervento psicoterapeutico impostato secondo le regole dei grandi, introdusse la tecnica del gioco facendosi essa stessa parte attiva. È fondamentale che il terapeuta o il genitore abbiano la capacità di giocare, siano in grado di adeguarsi al bambino, non siano troppo rigidi nello stabilire il confine tra realtà e fantasia. In quest’ultimo caso il bambino crescerà privo di immaginazione, ipercontrollato e super adattato all’ambiente. L’inibizione al gioco comporta inevitabilmente anche un isolamento e dunque tenderà a crescere emarginato dalla società. Va preso in esame anche il legame esistente tra gioco e sviluppo intellettivo. Piaget fu l’autore che più di tutti, a mio parere, è riuscito a studiare questo aspetto. Con il gioco il bambino cerca di sottomettere il mondo a se stesso mirando così al possesso di sé e all’affermazione della propria presenza nel mondo. L’autore, partendo dall’assunto che il gioco infantile è strettamente legato allo sviluppo mentale, individua tre stadi evolutivi collegati a tre tipi di strutture ludiche:

  1. L’esercizio
  2. Il simbolo
  3. La regola

Nei giochi di esercizio risulta fondamentale l’imitazione in quanto il bambino è impegnato ad acquisire il linguaggio, i sapori, gli odori. Ogni attività senso-motoria gli servirà così per sviluppare le varie funzioni entro un contesto di piacere. Tutto questo gli dà la possibilità di accertare l’efficienza delle abilità che va man mano acquisendo e la padronanza nei confronti del mondo. I giochi simbolici rappresentano la capacità cognitiva più complessa. Si sviluppano tra i 2 e i 6 anni, momento in cui il bambino inizia a rappresentare attraverso un oggetto qualcosa di diverso. Ad esempio, la sedia viene trasformata in un cavallo da cavalcare. Nei giochi con le regole, infine, vi è un forte sviluppo della socializzazione poiché si passa ad un tipo di gioco collaborativo. Tra i 7 e gli 11 anni si iniziano ad apprezzare le regole e ci si trova infatti nella fase sociale della crescita.

COME SCEGLIERE I GIOCATTOLI?

I giocattoli per il bambino vanno a rappresentare il proprio corpo ed allo stesso tempo il corpo della madre. Lo aiutano quindi a superare l’angoscia di separazione e a distinguere tra il “me” e il “non me”. In generale, bisognerebbe tenere presenti alcuni criteri di base nella scelta dei giochi per i propri bambini. Essi devono essere semplici e poco complicati poiché devono lasciare spazio alla fantasia del bambino. Quest’ultimo non deve percepire il suo giocattolo come qualcosa di troppo fragile poiché ciò lo porterebbe a grande delusione nel caso in cui si rompesse. In particolare i giocattoli possono essere suddivisi in 4 tipologie:

  1. Costitutivi;
  2. Costruttivi;
  3. Interpretativi;
  4. Catartici.

Molto spesso comunque il bambino costruisce in modo autonomo i propri giocattoli in quanto ogni tipo di oggetto gli permette di poter investire in esso un certo significato simbolico. Sarebbe molto stimolante che il genitore costruisse insieme al bambino i suoi giocattoli badando però a non prevaricarlo nella fase dell’esecuzione con manie perfezionistiche. Si tratta invece di sostenere la sua creatività.

 

LA TRASFORMAZIONE DEI GIOCATTOLI

Il giocattolo, nel mondo odierno, ha subito notevoli trasformazioni rispetto al passato. Risente infatti moltissimo della moda del momento e del progresso tecnologico. Vengono quindi rapidamente bruciati i nuovi giocattoli che finiscono per deludere i bambini. I genitori oramai sono maggiormente guidati dalle pubblicità e tendono a comprare giocattoli poco adeguati all’età del proprio figlio. Bisognerebbe tenersi lontani dalla tentazione di pensare che il gioco più costoso o il più grande sia effettivamente il migliore per il bambino. Infatti si tende troppo spesso a regalare un’eccessiva quantità di giocattoli per compensare la mancanza della propria presenza. Tutto ciò è ovviamente sbagliato e finisce per confondere ed alienare il piccolo. Il bisogno di sentirsi allo stesso livello degli altri genitori è un ulteriore fattore che smuove i genitori a comprare in modo ossessivo giocattoli nuovi. Il regalo più grande che però si può fare loro è quello della propria presenza e della propria disponibilità a dedicargli del tempo. Altra tendenza che si riscontra con frequenza è quella di dare in mano ai propri figli giochi altamente tecnologici. Attraverso i videogiochi, il bambino ha la possibilità di simulare moltissime variazioni della vita reale, di sperimentare sentimenti di collaborazione o di scontro. Alcuni studiosi ritengono che i videogiochi rappresentino la fine del gioco come tale poiché porterebbero allo sviluppo di disturbi sensoriali e percettivi, all’attenuazione della distinzione tra fantasia e realtà, ad insonnia o inappetenza. Come in ogni cosa che è stata creata dall’uomo però bisogna ricordare che è fondamentale il modo in cui essa viene usata. I videogiochi non dovrebbero essere esclusi a priori in quanto migliorano l’intelligenza, il pensiero astratto, la concentrazione, la memoria visiva e molte altre abilità del bambino. Il genitore ha la responsabilità di informarsi su ciò che il bambino sta utilizzando e soprattutto di visionarlo e di controllarlo.

 

IL GIOCO E’ SOLO PER I PICCOLI?

Possiamo in conclusione affermare che il gioco coinvolge l’individuo nella sua triplice dimensione bio-psico-sociale e non si limita all’età infantile. Pur modificandosi per intensità e durata affiora lungo tutte le età della vita. Schiller scrive che l’uomo è pienamente tale solo quando gioca. Dunque, anche per noi adulti il gioco diviene esperienza vitale. Esso ci permette di vivere una regressione socialmente accettata e di scoprirci di nuovo bambini nel mezzo del mare di difficoltà che viviamo ogni giorno. Un individuo maturo deve essere capace di divertirsi anche nei momenti più seri e allo stesso tempo, durante il gioco, non deve dimenticarsi la serietà. Rahner afferma:

“L’uomo che gioca è l’essere “serioallegro”. Da una parte egli è ilare nella sua libertà spirituale, dall’altra è un essere tragico”.

La sintesi è rappresentata dunque dall’homo Ludens, il serioallegro.