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Una cosa mi incuriosì parecchio. Mia madre un giorno mi raccontò che intorno all’età di quattro anni mi era capitato chiederle più di una volta di non morire. “Mamma promettimi che non morirai”.
Mi domandai come mai così piccola fossi terrorizzata dall’idea che mia madre potesse morire.
Eppure fu proprio così.
Compiuti i 52 anni e 5 mesi ci lasciò.
Un’altra cosa mi colpì dopo che lei se ne fu andata.
Nella stanza dell’ospedale in cui stava fino a pochi minuti prima di morire rimasi qualche minuto ad osservare il suo letto vuoto.
Un’infermiera era avvicendata a cambiare le lenzuola con quelle pulite. Mi guardò, colse la mia espressione confusa, e disse: “Noi viviamo con l’immagine di una mamma eterna…ma anche lei prima o poi deve morire”.
Ma quella fu solo una delle varie esperienze di morte. Perché anche le separazioni, gli allontanamenti, le rinunce ai propri sogni sono dei lutti
Freud, che non amo particolarmente, afferma che al fine di una crescita il principio di piacere prima o poi è necessario che scenda a patti con il principio di realtà. Talvolta attraverso un compromesso, talvolta un avvicinamento graduale, spesso un impatto doloroso.
Nel film “The dreamers” di Bertolucci l’idillio vissuto nel triangolo di seduzioni fratello-sorella-amico è simbolicamente rotto nel momento in cui un sasso lanciato da un rivoluzionario dei moti del ’68 rompe il vetro della finestra della loro casa: la realtà è entrata prepotentemente nel loro sogno.
Noi adulti siamo degli illusi. Viviamo perennemente in un’illusione di continuità, di eternità, appunto, dando per certo che i propri genitori, il/la proprio/a compagno/a, i propri figli, la propria carriera, la propria casa ci saranno sempre.
Ma il “sempre” è un’illusione.
Di questo possiamo apprendere dai bambini i quali sanno che non potrà mai essere così.
Quando la mamma li lascia per delle commissioni, per esempio, a volte piangono e scalpitano come se temessero di vederla per l’ultima volta.
Noi ridiamo credendo all’assurdità di questo, ma siamo in errore. REALMENTE c’è la possibilità che quella mamma non ritorni più…
Ma perché crediamo così fermamente in questa illusione?
Proviamo per un attimo ad immaginare come sarebbe il nostro mondo interno se vivessimo costantemente nell’idea che il rapporto con il nostro compagno si possa rompere in ogni momento, magari perché lui (o lei) non ci ama più, perché ha cambiato vedute, perché si è innamorato di un altro o un’altra o perché ha iniziato a coltivare altri progetti di vita.
Se vivessimo nell’idea che un bel giorno un fratello o una sorella o i genitori o cari amici potessero non esserci più o allontanarsi fisicamente o emotivamente da noi.
Se vivessimo nell’idea che improvvisamente si possa perdere il proprio lavoro o essere licenziato…
Ora pensiamo a coloro che realmente si sono ritrovati un bel giorno senza lavoro, senza cari al proprio fianco, che magari non hanno una famiglia su cui contare, che sono stati lasciati dal proprio partner, che sono senza una casa…
Cosa rimane di loro?
Ebbene cosa rimane di loro?
LORO STESSI. Nient’altro che loro stessi. E vita da vivere.
Tutte le volte che ho sofferto e sono stata male la prima cosa con cui mi sono sempre ritrovata a confrontarmi è stata la solitudine.
La solitudine.
Perché quando l’illusione cade non c’è più nessuno e nulla a potermi sostenere. Nessuno potrà mai capire fino in fondo cosa sto provando, nessuno potrà sostituirsi a me nell’affrontare quel determinato ostacolo, nessuno potrà alleviare quel vuoto, quella sensazione di mancanza che quell’esperienza, come un vortice, ha innescato dentro di me.
Se poi la vita è stata o meno generosa con me questo è relativo. C’è chi ad ogni passo trova petali e chi trova bastoni. Chi riesce a vivere in pieno il proprio sogno e chi assiste continuamente al disfacimento di ogni sua iniziativa. In quest’ultimo caso in psicologia si parla di auto-sabotaggio o profezia auto-avverantesi, nel senso che se il peggio accade, è perché in fondo stai desiderando il peggio per te.
Io non penso che sia tutto riconducibile ad un 2 più 2, per cui raccogli solo e sempre quello che semini.
In compenso penso che ognuno abbia il proprio cammino.
E di qualsiasi cammino si tratti è pur sempre un cammino sacro.
E mentre cammino scopro compagni, situazioni, paesaggi. Non so per quanto tempo staranno con me ma so che ci sono in questo momento. E questo mi rende felice.