“Prova a parlarne, ti sentirai meglio”.
Non serve essere psicologi per capire quanto, nei momenti di grande sofferenza, sia importante riuscire a esprimere in parola il profondo dolore che si vive. Non sempre però è facile “parlare” e, paradossalmente, è proprio in quelle situazioni, nelle quali ci si chiuderebbe a riccio, che diventa quasi necessario riuscire a farlo.
Perché dico questo? Perché un grande dolore non espresso (legato a un problema, una difficoltà, un vissuto relazionale), macina dentro di noi divorandoci lentamente.
“Give sorrow words. The grief that does not speak. Whispers the o’er fraught heart heart and bids it break” – Shakespeare, Macbeth
“Dai voce al dolore. Il dolore che non parla sussurra ad un cuore oppresso, ordinandoli di rompersi.”
Il dolore che non parla, “sussurra”: ciò significa che il dolore non sparisce, se non lo guardiamo; non si dissolve magicamente, se non gli diamo peso, ma rimane tenacemente dentro di noi corrodendo il nostro cuore, mantenendoci in uno stato costante e opprimente d’insofferenza, di fatica, di angoscia.
Capita spesso, infatti, che ci si senta di star male, ma di non capire precisamente il “perché”, come se si fosse avvolti in una nube di dolore senza davvero riuscire a discernere cosa, come, perché ci si è dentro così tanto.
La parola, a questo punto, si rivela la condizione sine qua non per reintrodurre in questo presente di dolore, un senso.
Parlando, si dà voce all’inconscio che sta manifestando un dolore.
Parlando si creano le condizioni per rendere pensabile quel dolore, e questo è importante perché ciò che si può pensare, ciò che passa da un vissuto “fisico” (“mi sento male, sto soffrendo”) ad uno di simbolo, può essere elaborabile.
Si può elaborare ciò che si conosce, ciò a cui si è dato un nome.
Non posso elaborare una torta Sacher, se non so come si faccia una torta Sacher. Se non la conosco, la mia torta non diventerà mai un’”elaborazione”, una trasformazione della Sacher. Diventerà semplicemente “un’altra cosa”.
Questo concetto trova le sue basi anche nella tradizione dell’Alchimia quando si pensava (concretamente ma soprattutto metaforicamente) di poter trasformare il piombo in oro attraverso una serie di processi di solve et coaugula, ovvero di scioglimento e di ricostruzione della materia. Un’elaborazione. Il punto di partenza di queste elaborazioni non cambiava mai:. piombo nero era e piombo nero rimaneva.
Ma era proprio quel “nero” che si voleva trasformare in oro.
E’ proprio dal nostro nero, il nostro dolore, che vogliamo rinascere.
E’ emozionante pensare che questo processo, di elaborazione dal corpo alla mente, dalla sensazione di dolore alla pensabilità e traducibilità del dolore, possa avvenire solo all’interno di una relazione, da sempre contesto elettivo che restituisce il senso.
L’essere umano trova nella relazione con la madre il senso della sua vita e delle sue sensazioni.
Il neonato che piange, trova negli occhi e nella voce e comprensione della mamma, il senso del suo dolore.
E’ la mamma che dicendo al bambino “Hai fame, vero tesoro”, “Hai freddo, adesso ti scaldo”, “Ci siamo sporcati, adesso facciamo il bagnetto”, restituisce al bambino il senso di ciò che lui sta provando (la rêverie di Bion).
Anche da adulti, nella relazione con l’altro, attraverso la parola noi riusciamo a restituire un senso a ciò che viviamo e che ci opprime, ci angoscia, ci divora.
Se siete psicologi e state leggendo queste righe, ricordatevi sempre la sacralità del momento della parola, quando un paziente attraverso questa, rivela la sua profondità a voi ma soprattutto, molte volte per la “prima volta”, a se stesso.
Se non siete psicologi, sicuramente sarete figli, genitori, amici, colleghi, insegnanti… offrite il vostro ascolto a chi ve lo sta richiedendo. Abbiamo due orecchie per ascoltare e una per parlare, proprio perché dovremmo ascoltare il doppio e parlare la metà.
E se, come molti, sentite di avere un dolore che “sussurra al cuore“… non tenetelo dentro, cercate qualcuno a cui potervi rivolgere e che vi aiuti e sostenga a dare un senso a ciò che vivete.
“Quando il dolore trova parole, la guarigione si profila all’orizzonte.” – Ernst L. Kirchner
DR.SSA ILARIA CADORIN
Psicologa n°9570 Albo Psicologi del Veneto
Psicologa clinica e psicologa dello Sport
Contatto e-mail: cadorin.ilaria@gmail.com
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