Le persone cambiano?

Nei proverbi si racchiude e si conserva in forma sintetizzata (nonché impossibile da dimenticare) il frutto di decenni di esperienza dei nostri avi e dei loro antenati; ogni volta che un nonno, un genitore o un insegnante tramanda un proverbio, riporta con poche parole un dogma semplicissimo ed immodificabile: “Chi nasce tondo non può morire quadrato”, “Il lupo perde il pelo ma il vizio mai”, “Sempre ti graffierà chi nasce gatto”. Questi ultimi sono dei validi esempi per inquadrare l’argomento che stiamo trattando: a riguardo la saggezza popolare non ha dubbi, le persone non cambiano, non perdono i loro vizi, né i loro difetti e finiranno per confermarsi quello che sono sempre stati.

Ascoltando i problemi delle persone, uno dei dubbi che più frequentemente viene espresso nel corso della psicoterapia (spesso all’inizio della stessa) è “riuscirò a cambiare?” oppure “c’è una speranza che il/la mio/a compagno/a cambi?”. La risposta non è così facile e scontata come raccontano i proverbi ed il cambiamento è un’evoluzione naturale ma non sempre sostanziale.

Nella maggior parte dei casi la mente umana procede creando, attraverso l’esperienza, degli “schemi”, ovvero un insiemi di idee e pensieri su come le cose funzionano, in modo da sapere cosa aspettarsi. Ad esempio in base all’esperienza formuliamo il concetto di cane come di un animale con quattro zampe, peloso, con la coda, capace di abbaiare ecc… L’arrivo di nuove informazioni è in grado di modificare tali schemi per aumentare la comprensione dei fenomeni e la capacità di prevedere e fronteggiare particolari situazioni. Se infatti ci dovesse capitare di vedere un cane mordere qualcuno, allo schema che già abbiamo, potremmo aggiungere l’informazione che il cane può mordere e, in certe situazioni, fare del male. Questo ci aiuterà ad aspettare prima di andare a fargli una carezza o a chiedere al proprietario. Le persone cambiano continuamente perché di continuo apprendono nuove informazioni che modificano e migliorano le credenze e conoscenze preesistenti, quindi il cambiamento è un processo insito nella crescita stessa.

Tuttavia, a volte questo non accade e le nuove informazioni che arrivano non vanno a modificare gli schemi che già abbiamo; così accade che vorremmo cambiare ma non ci riusciamo. Infatti, ci sono schemi di funzionamento e credenze che resistono al cambiamento, anche quando questo sarebbe necessario: è il cosiddetto “paradosso nevrotico”. La resistenza al cambiamento è, in questi casi, fonte di grande sofferenza psichica e per tanto rappresenta un tema molto studiato dalla psicologia cognitiva moderna. Perché pur sapendo che quel modo di fare, parlare e pensare non funziona e non ci permette di raggiungere nessun obiettivo non lo abbandoniamo? Come è possibile che una persona persista in una comportamento per lui infelicemente nocivo? La risposta è che non è facile farlo per diversi motivi. Spesso il cambiamento è temuto, o visto come qualcosa di pericoloso. L’alternativa quindi, che sarebbe giustificata ed auspicabile,  potrebbe essere peggiore in quanto sconosciuta.  A questo aggiungiamo che un modo di comportarsi abitudinario rappresenta per la mente qualcosa di familiare e semplice, che richiede meno sforzo e fatica. Come la strada che facciamo da casa al lavoro, se è sempre la stessa da molto, finiamo per farla in automatico. Per poter cambiare è indispensabile essere motivati  in quanto la ricerca di un’alternativa vuol dire impegnarsi e, ogni giorno, rompere l’automatismo. Possiamo farcela, ma si tratterà di disattivare il pilota automatico, cambiare strada e magari rischiare di perdere tempo, sbagliare o trovare traffico, almeno  le prime volte, questo scoraggia. Tuttavia ogni passo, differente nel pensiero e nell’azione, permette di dare vita a nuove abitudini e nuovi modi di essere.

Le neuroscienze forniscono una risposta decisa e positiva, in netto contrasto con la saggezza popolare. Ad oggi, difatti, è stato largamente dimostrato come il cervello sia capace di cambiare nelle sue connessioni e nelle sue sinapsi, modificandosi plasticamente attraverso esperienze e relazioni significative. E’ stato, ad esempio, recentemente dimostrato che con un training mentale continuo e specifico è possibile modificare la morfologia del cervello e ottenere il miglioramento di alcune facoltà cognitive (compassione, attenzione e cambio di prospettive), nonché ridurre alcuni indicatori di stress. Grazie agli studi effettuati con le nuove tecniche di neuroimmagine (fMRI, PET, SPECT ) si è dimostrato, inoltre, che la psicoterapia produce modificazioni osservabili sul cervello e che, tali cambiamenti, si mantengono stabilmente nel tempo.

In conclusione la risposta della psicologia e delle neuroscienze rispetto alla possibilità di cambiamento nelle persone è del tutto ottimista;  le persone possono cambiare e migliorare grazie ad esperienze positive correttive o grazie all’allenamento. Tuttavia questo processo non è scontato e richiede impegno e fatica, oltre che una forte, fortissima motivazione. In sintesi chi nasce tondo, al contrario, potrebbe anche morire quadrato.

Autore:

Serena Bosco

Psicologa e Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale

Iscrizione Albo 3274, Regione Puglia

Riceve a ROMA

mail: serenabosco@gmail.com

tel: 3492924476

 

 

 

Bibliografia:

Karlsson Hasse (2011). How Psychotherapy Changes the Brain. Psychiatric Times. August 11. Vol.28 (8).

Mancini F., Gangemi A. (2002) Il paradosso nevrotico ovvero della resistenza al cambiamento. In: Castelfranchi, C., Mancini, F., Miceli, M. (a cura di), Fondamenti di cognitivismo clinico. Bollati Boringhieri, Torino.

Valk, S. L., Bernhardt, B. C., Trautwein, F.M., Böckler, A., Kanske, F., Guizard, N., Collins, D. L. and Singer, T. (2017).    Structural plasticity of the social brain: Differential change after socio-affective and cognitive mental training. Science Advances,DOI: 10.1126/sciadv.1700489