“E’ bravo ma non si applica”.
Quante volte i genitori e i proprio figli hanno sentito questa frase ricca di implicazioni e credenze errate.
Primo errore: considerare l’ambiente, il contesto, separato e non incisivo sulla motivazione e sulla prestazione dell’individuo, perché è solo quest’ ultimo a non applicarsi.
Secondo errore: considerare la motivazione come spinta interna, che riguarda l’individuo.
Robert Pianta (1999) ci offre un modello in cui il contesto educativo è costituito dall’insegnante e dal bambino in interazione, quindi, ogni processo educativo è un processo bidirezionale. Questa relazione è influenzata dalla storia affettiva pregressa del bambino e dalle rappresentazioni mentali e dalla sensibilità dell’insegnante. La letteratura ci dimostra l’importanza della sensibilità nel ridurre il rischio connesso all’insicurezza infantile, ridurre i comportamenti a rischio, aumentare la competenza socio-emotiva e migliorare la prestazione scolastica.
Dunque, la motivazione è una spinta interna proveniente dal singolo individuo? Probabilmente no.
La motivazione è una configurazione organizzata di esperienze soggettive che consente di spiegare l’inizio, la direzione e la persistenza di un comportamento diretto a uno scopo. De Beni, Moè (2000).
Ora è chiaro che la motivazione è inscindibile dagli aspetti cognitivi, credenze, opinioni di noi stessi e degli altri, attribuzioni dei nostri successi o insuccessi che durante l’apprendimento e il nostro percorso di crescere abbiamo acquisito.
Non ci sarebbe motivazione se non avessimo degli obiettivi e delle aspettative nello studio, se attribuissimo i nostri successi o insuccessi agli altri o alla nostra incapacità, se non credessimo in noi stessi e nelle nostre competenze.
Se tutto questo è vero per ciascuno di noi, per ciascuno ragazzo e bambino che ogni mattina indossa uno zaino ed entra in un’ aula, immaginiamo quanto sarà importante per quei bambini o ragazzi che hanno delle difficoltà nell’apprendimento.