Blocchi evolutivi – Ma dove vado se non parto?

blocchi evolutivi

 

“Quando davanti a te si apriranno tante strade e non saprai quale scegliere, non imboccarne una a caso, ma siediti e aspetta. […] Resta in silenzio ed ascolta il tuo cuore. E quando ti parla, alzati e vai dove lui ti porta.”

Nel pensare di scrivere una pagina dedicata al tema dei cosiddetti blocchi evolutivi mi è automaticamente venuta in mente questa citazione di un famoso libro degli anni ’90, Va’ dove ti porta il cuore. Sempre più spesso capita invece di incappare in giovani adulti tra i venti ed i trent’anni che restano bloccati per un tempo variabile in un loop esistenziale dal quale faticano ad uscire. Frequentemente è la scelta dell’Università a creare empasse, specialmente se si tratta di dover lasciare la propria città di origine per recarsi in una nuova, ma la crisi può arrivare anche nel momento in cui si deve scegliere la propria carriera lavorativa, in cui ci si trova a confrontarsi con l’idea di andare a vivere da soli o di mettere in piedi una relazione affettiva stabile.

E’ quindi nel momento in cui la persona deve affrontare le cosiddette crisi evolutive, per prendere a prestito un termine mutuato dalla teoria Psicosociale di E. Erickson, ossia quando deve misurarsi con gli ostacoli e le sfide peculiari di quella fase della sua esistenza che possono emergere tutte le difficoltà rimaste latenti fino a quel momento, con conseguenze talvolta anche significativamente negative sul piano del benessere psicologico. Non è infrequente infatti che l’individuo sviluppi quadri ansiosi o depressivi di entità variabile, o che accusi disturbi tipo attacchi di panico.

Per quella che è la mia personale esperienza clinica una rilevante quota di persone che si descrivono bloccate nel proprio percorso evolutivo sono persone che arrivano dalle cosiddette “famiglie invischianti”.

Minuchin ha definito questi nuclei come“Famiglie con le porte aperte”: tipicamente in esse si osserva la marcata tendenza all’iperprotezione ed all’intrusione di alcuni membri della famiglia nei pensieri, nei sentimenti, nelle azioni e nella comunicazione di altri determinando una significativa labilità dei confini tra gli individui e tra i sottosistemi generazionali e confusione di funzioni e di ruoli, oltre che un restringimento degli spazi di autonomia personale. Se viste dall’esterno queste famiglie si narrano come armoniose e coese, raggiunte però attraverso giochi relazionali ad elevato tasso di tossicità: lasimbiosi e la fusionalità relazionale al posto della capacità di creare autonomia e individualità, la coesione ed il senso di appartenenza “al clan” al posto dell’indipendenza e dell’autorealizzazione,l’approvazione ed il successo al posto della competenza (narrativa vincente/perdente).

I ruoli giocati sono rigidi, monodimensionali e granitici: come in una partita a scacchi iniziata nel castello di Rosaspina pochi secondi prima che ella si pungesse il dito con il fuso e successivamente rimasta ferma per i secoli a venire, i membri del gruppo famiglia/pedine sono immobilizzati ciascuno nella propria “parte”, bloccati in una distanza-vicinanza minuziosamente calcolata, dove non ci si può allontanare più di un minimo per il timore di abbandono e dove non ci si può avvicinare ulteriormente per il timore di gestione dell’intimità.

Molto spesso esiste una problematicaantica nella relazione tra le figure genitoriali, un “segreto” gelosamente custodito ed i molti “non detti”, la presenza di una sorta di “mente collettiva” con cui pensano tutti i membri del gruppo, l’apparente clima di calma e di accordo sembrerebbe celare problemi irrisolti che si tenderebbe a “nascondere sotto il tappeto” per una atavica impossibilità dei membri a gestire il conflitto ed il disaccordo.

Con l’arrivo invece del tifone-adolescenza si presentano di regole e senza troppe cerimonie la totale e radicale messa in crisi da parte del figlio sia sul piano di realtà sia nella propria mente dell’immagine dei genitori avuta sino a quel momento, i cambiamenti nell’identità sia sociale sia fisica e sessuale sia emotiva del giovane, nuove sfide nel quotidiano da affrontare.

Pertanto, gli equilibri precariamente tenuti in piedi per anni rischierebbero di entrare in crisi con i mutamenti delle identità tanto del figlio (adulto in divenire) quanto dei genitori (spesso non più così giovani, magari alle prese con la propria crisi evolutiva legata all’invecchiamento, con i fantasmi del nido vuoto a breve o con la riedizione mentale della propria di adolescenza): ecco così che spesso il tempo si blocca e si congela, la figlia o il figlio si fermano nel proprio processo di sviluppo di Sè come in una sorta di “sciopero” nella propria evoluzione personale, per parafrasare una popolare definizione della Salvini Palazzoli (Sciopero della fame non dichiarato). In alcuni casi il paziente bloccato nella propria crescita individuale e portatore del sintomo clinico, il cosiddetto “paziente designato” usando una terminologia tipica della Psicoterapia sistemico-relazionale, potrebbe essere proprio quello che a livello tacito nella famiglia potrebbe aver ricevuto il “mandato implicito”: rimani nel tuo ruolo di figlio, non crescere, non te ne andare, non cambiare perché altrimenti gli equilibri familiari potrebbero crollare.

Scopo del lavoro terapeutico è quello quindi di favorire il risveglio dei giovani “addormentati” non con il bacio salvifico ed onnipotente di un Principe esterno bensì attraverso il cosiddetto “processo di individuazione”, per prendere in prestito un termine tipico della Psicoanalisi Junghiana, perchè solo cambiando il copione della narrativa familiare ed individuale sarà possibile spezzare il maleficio dell’immobilità e del gelo, facendo così ripartire il tempo ridando vita all’eternità.