AUTISMO E DIAGNOSI PRECOCE

Molti genitori di bambini con autismo riportano una modificazione del comportamento dei figli in un arco di tempo che va (a seconda dei casi) dai 10 ai 18 mesi, riferendo la comparsa di una sintomatologia specifica a seguito di eventi determinanti: ritorno al lavoro della madre, inserimento al nido, cambiamento della stanza in cui dorme, ecc., cambiamenti che a ben vedere caratterizzano la vita di tutti bambini di quell’età.

Quando poi però si passa ad un’analisi degli eventi più approfondita si rileva che alcuni “segni” che facevano presagire un’evoluzione alterata dello sviluppo erano già presenti, ad esempio: un bambino poco reattivo alle sollecitazioni e che aveva bisogno di continue stimolazioni per mettere in atto comportamenti, poco incline alle interazioni con gli altri, con maggior interesse per gli oggetti che per le persone, atteggiamenti che al momento venivano attribuiti ad esempio “al carattere”. Molti sono oggi i segnali che lasciano presagire un disturbo dello Spettro Autistico e che vanno monitorati proprio per superare quella convinzione di “regressione” che riportano molti genitori quando cominciano a notare il cambiamento intorno al secondo anno di vita.

Ciò che spesso si nota nei bambini con autismo è che ad un certo punto alcuni di loro cambiano radicalmente comportamento passando da interazioni tipiche dei bambini fino a 10-12 mesi (balbettii, guardare negli occhi l’altro, salutare, battere le manine, ecc.) all’assenza totale di interazioni (non voler essere presi in braccio da nessuno tranne che dalla mamma, non rispondere più quando vengono chiamati, fino a restare ore fissato con un oggetto ed in alcuni casi a mettere in atto stereotipie).
Ciò porta alla riflessione su quello che oggi preoccupa tutti, genitori, clinici e ricercatori: il problema della regressione nei disturbi dello Spettro Autistico. Molti studi se ne sono occupati, ma non è ancora chiaro se ci sia una differenza a livello neuro-biologico dei casi con regressione rispetto a quelli senza regressione, o se addirittura si tratti di espressioni diverse dello stesso genotipo. A questa considerazione si lega il dubbio sull’età della comparsa della sintomatologia autistica; poiché oggi mediamente si ha una diagnosi intorno ai 4 anni, 2 anni dopo che i genitori hanno cominciato l’iter diagnostico. Clinici con maggiore capacità e più esperti in realtà sarebbero in grado di rilevarne la sintomatologia già a 12/13 mesi. Ovviamente oggi la difficoltà sta proprio nel riconoscere e rilevare quei sintomi che permettano una diagnosi precoce ed un trattamento altrettanto precoce.

Le ricerche si muovono a 360° ma per anni, e forse ancora oggi qualcuno lo sostiene, si è pensato che l’autismo si accompagni ad alterazioni biochimiche e quindi si cercano alterazioni evidenziabili in tal senso. Al momento però, purtroppo non esistono metodi di indagine che diano una risposta sicura. Infatti solo la rilevazione di segnali comportamentali specifici e la valutazione di indicatori caratteristici dell’autismo può portare ad una diagnosi, con tutti gli errori legati ad una valutazione di questo tipo (errori valutativi che a dire il vero diminuiscono sempre più nel corso degli anni grazie anche a strumenti sempre più precisi).
L’intervento diagnostico che si è abbassato dai 4-5 anni a 2-3 anni oggi permette di avere un quadro clinico più completo dell’evoluzione del disturbo e ci si rende conto che si tratta di un andamento multiforme. La regressione inizia intorno ai 12 mesi e si rileva soprattutto nella comunicazione e nello sguardo; questo processo regressivo diventa più marcato tra i 30 ed i 38 mesi. Le caratteristiche di questo quadro clinico sono presenti già nel primo anno di vita (ciò si rileva spesso dai video amatoriali) ma il tutto si delinea dopo i 18 mesi in cui cominciano ad essere un rilevabili gli indicatori tipici dell’autismo come ad esempio: il non seguire lo sguardo dell’adulto, l’uso del gesto dell’indicare per dichiarare e alcune caratteristiche del gioco simbolico. Parallelamente si può verificare anche una perdita delle capacità cognitive ed un arresto dello sviluppo senso motorio all’inizio del secondo anno.

Una delle modalità per poter effettuare una diagnosi è mettere in relazione il comportamento attuale con quello delle prime fasi dello sviluppo; ciò avviene grazie all’analisi dei filmati familiari. Da una ricerca effettuata proprio sui filmati familiari è stato scoperto nei bambini con autismo che già dal primo anno si può osservare uno sviluppo lento, caratterizzato da povertà di atti comunicativi ma non tanto estremo da essere rilevato come patologico da genitori o pediatri. Questi bambini sembrano aver acquisito alcuni comportamenti ma che scompaiono man mano che crescono; ecco perché molti genitori rimangono interdetti di fronte alla diagnosi di autismo. La convinzione da parte loro è che il bambino fosse inizialmente normale e che poi qualcosa di nuovo e di improvviso abbia indotto una sorta di “regressione”. L’analisi delle interazioni, delle modalità comunicative, l’interesse per gli altri bambini, gli schemi di azione permettono di rilevare segnali precoci di ciò che poi verrà diagnosticato come autismo. Ciò che emerge è un comportamento che procede più o meno lentamente ma che si arresta intorno all’anno di vita, quando cioè, dovrebbe esserci quell’exploit comportamentale, comunicativo e relazionale. Man mano che procedono nella crescita a circa 2 anni i bambini ricorrono a modalità primitive di comunicazione basate sul contatto fisico (utilizzare la mano dell’adulto come strumento, ad esempio poggiandovi l’oggetto che gli interessa utilizzare). Così come presentano limiti nell’utilizzo di comportamenti imitativi, mentre i comportamenti di attaccamento si manifestano in modo piuttosto intenso come rilevato da altre ricerche (Roger et al., 1991). Possono essere presenti comportamenti di imitazione differita, l’utilizzo funzionale di determinati oggetti di gioco o comuni, una limitata attenzione alla voce dell’adulto. Tutti comportamenti che però si rivelano essere fragili e debolmente acquisiti. I comportamenti imitativi spesso si riducono man mano che passano i mesi mentre possono accentuarsi i movimenti stereotipati o casuali (forse in un tentativo di esplorazione); anche l’interazione con l’altro si riduce sempre più fino quasi a scomparire e comunque sempre caratterizzata dal non guardare negli occhi l’altro.

Molti studi oggi evidenziano che fino a 2 anni i bambini autistici possono conservare alcune capacità di interazione e comunicazione seppur limitate dalla probabile presenza di un Disturbo dello Spettro Autistico, ma queste capacità tendono a scomparire del tutto dopo i 2 anni, ed è a quel punto che la sintomatologia autistica appare in tutte le sue caratteristiche. È necessario, pertanto, lavorare sulla necessità di individuare uno sviluppo atipico in modo precoce; la tendenza a focalizzarsi sui comportamenti sociali seppur rari, spesso non volendo considerare uno sviluppo chiaramente atipico, Porta purtroppo a non diagnosticare precocemente l’autismo.

All’esigenza diagnostica si affianca sicuramente la necessità di indirizzare interventi terapeutici verso questa fascia di età in relazione al disturbo dello spettro autistico. Cionondimeno è necessario che gli interventi prendano in considerazione gli effetti difficilmente gestibili che la diagnosi di autismo può avere sui genitori. Senza escludere dall’intervento i genitori è necessario che esso tenga conto della loro presenza e del loro notevole apporto durante gli anni più precoci. Gli obiettivi di questa inclusione dovrebbero essere non di tipo psicoterapeutico ma finalizzati alla condivisione con essi delle varie fasi dell’intervento e di sostegno alla genitorialità nei confronti di un bambino autistico.

Per approfondire:
P. Bernabei, L. Camaioni, “La storia di Michele” in “Psicologia Contemporanea” n. 158, mar.-apr. 2000, pp. 4-11, Giunti

© Dott. Pasquale Saviano
Psicologo – Psicoterapeuta